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Robot nelle scuole: una nuova didattica all’orizzonte?

Christian Raaflaub

La pandemia causata dal coronavirus ci obbliga a ripensare tutto, persino i metodi di insegnamento. E se il futuro del sistema educativo fossero i robot?

Thymio, Lexi, Elias, Pepper, Nao, Anastasia, Kaspar: potrebbero essere i nuovi compagni di classe “un po’ speciali” dei vostri figli, quei tipi decisamente diversi che all’inizio vengono snobbati, ma che poi tutti vorrebbero come vicini di banco. Sono diligenti ma non competitivi, conoscono un sacco di cose ma non sono arroganti, apprendono dagli altri mentre aiutano ad apprendere. Peccato che invece di essere bambini in carne ed ossa, hanno un cuore di metallo e un cervello elettronico. Sono dei robot e sono utilizzati principalmente in ambito educativo e scolastico.

Secondo le previsioni, il mercato dei robot didattici è destinato a espandersi in maniera significativa nei prossimi anniCollegamento esterno. La crescente domanda di robot collaborativi nei settori dell’istruzione e dell’industria potrebbe riverberarsi anche nella creazione di nuovi posti di lavoro.

La pandemia del Covid-19 e la chiusura delle scuole, inoltre, potrebbero trainare in maniera significativa lo sviluppo dirompente e a lungo termine del mercato della robotica educativa.

Ma qual è la specialità di queste macchine intelligenti? I robot in ambito scolastico e universitario possono fungere da mentori reattivi e assistere studenti e insegnanti attraverso una didattica più interattiva, che stimola la socialità piuttosto che l’isolamento. Un robot può diventare un’interfaccia fisica, sociale ed emotiva così sviluppata da arrivare a leggere le espressioni facciali dei bambiniCollegamento esterno.

E voi? Cosa ne pensate? Parliamone! Scrivetemi i vostri commenti.

Robot (quasi) umani

Il mio collega Christian Raaflaub ha parlato dei robot didattici con Francesco Mondada, co-leader del gruppo di Robotica educativaCollegamento esterno presso il Centro nazionale di competenza nella ricerca (NCCR) roboticaCollegamento esterno (National Centre of Competence in Research Robotics):

“Ciao a tutti, sono Lexi”. Con queste parole, un robot umanoide saluta gli studenti dell’Università di San Gallo. L’interesse è grande. L’aula è piena di gente. “Lexi”Collegamento esterno è un robot progettato per aiutare gli studenti nelle loro ricerche. E poi c’è “Thymio”Collegamento esterno, un robot che può essere programmato a piacimento dagli scolari. Varie tecnologie digitali stanno attualmente invadendo le aule e le scuole.

Ho parlato a chi sta dietro allo sviluppo di questi robot e ho chiesto loro quali siano le potenzialità e i pericoli di strumenti di insegnamento e apprendimento di questo genere. Francesco Mondada, che ha sviluppato “Thymio”, dice: “Un robot ha il potenziale di sconvolgere la forma educativa dell’insegnamento tradizionale e di suscitare molto interesse. Può portare una nuova dinamica nelle aule”.

Il professore di robotica, tuttavia, mette in guardia dal pericolo di un attaccamento emotivo troppo forte a un robot umanoide, soprattutto tra i bambini. Mondada cita un esempio dell’esercito americano: “I soldati erano pronti a salvare il robot a costo della loro stessa vita o di quella di un altro”.

Dare voce alla ricerca

L’NCCR è un’organizzazione nazionale creata nel 2010 e finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientificaCollegamento esterno (Swiss National Science Foundation), che riunisce 28 laboratori di robotica di tutta la Svizzera con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie orientate all’uomo per migliorare la qualità della nostra vita. La robotica didattica è una delle principali aree di ricerca del centro.

A partire da oggi, ospiteremo in ogni edizione della nostra newsletter una ricercatrice o un ricercatore dell’NCCR, per tenervi aggiornarti sull’innovazione scientifica e dare voce a chi ci sta dietro.

barbara bruno, donna in piedi bordo lago
Barbara Bruno è una ricercatrice presso il Laboratorio di interazione computer-uomo per l’apprendimento e l’istruzione del Politecnico federale di Losanna (EPFL). Barbara Bruno

In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienzaCollegamento esterno, celebrata ogni anno l’11 febbraio, abbiamo portato la testimonianza di una giovane ricercatrice italiana, Barbara BrunoCollegamento esterno, che lavora presso il Laboratorio di interazione computer-uomo per l’apprendimento e l’istruzioneCollegamento esterno del Politecnico federale di Losanna (EPFL). Nell’ambito della NCCR Educational Robotics Grand Challenge, Barbara studia come i robot, e le interazioni con essi, possano favorire l’apprendimento umano.

swissinfo.ch: Barbara, quale percorso personale l’ha portata all’Epfl e a occuparsi di robotica?

Barbara Bruno: Un giorno, a scuola, il nostro professore di matematica ci insegnò la nozione di “algoritmo”. Scrivere un algoritmo significa trovare un metodo per risolvere un’intera categoria di problemi, riflettere sull’esistenza di casi speciali e su come gestirli correttamente, ideare esperimenti per verificare che una soluzione funzioni davvero. Ero affascinata! In seguito, mi iscrissi al corso di laurea in Ingegneria informatica all’Università degli Studi di Genova, in Italia.

Ho scoperto la robotica grazie alla mia tesi di laurea: l’argomento era la localizzazione di un robot mobile in un ospedale. Mi è piaciuto molto il contrasto tra il ragionamento astratto richiesto per progettare le soluzioni e la valutazione pratica dei loro effetti. Con il passare degli anni, ho capito che essere un’esperta di robotica e una ricercatrice accademica è il lavoro dei miei sogni.

Secondo lei il settore della robotica ha un problema di genere? E se sì, cosa si può fare, fin dalla scuola, per colmare il gap?

Se mi chiede se ci sono più uomini o donne nel mio laboratorio (il laboratorio CHILICollegamento esterno del prof. Pierre Dillenbourg) dovrei sedermi e contare: è difficile dirlo a prima vista! Anche se c’è ancora un divario di genere nella robotica, penso che diventi ogni giorno più piccolo e sono fiduciosa che sarà presto colmato.

L’educazione è fondamentale per raggiungere questo obiettivo: la scuola aiuta i bambini a scoprire le loro passioni e i loro talenti, coltivarli e trasformarli in carriere appaganti. È fondamentale che la robotica sia presentata correttamente agli scolari, senza falsi pregiudizi e stereotipi, in modo che chiunque ne sia attratto possa perseguirla.

Quali sono i problemi pratici da affrontare in ambito di istruzione, insegnamento e apprendimento della robotica oggi?

Come esperta di robotica, tendo a dare per scontato che i robot facciano funzionare tutto meglio. Come ricercatrice, invece, tendo a mettere in discussione tutto. Perché dovremmo volere un robot in una classe? Cosa ci guadagniamo? Quali benefici porterebbe agli studenti e all’istruzione?

Robot educativi come “Thymio” e “Cellulo”Collegamento esterno possono rendere visibili e tangibili (e quindi, in qualche modo, più facili da capire), concetti e fenomeni altrimenti invisibili: gli studi della mia collega Laila El Hamamsy, per esempio, rivelano che robot educativi come “Thymio” possono essere utilizzati per favorire le capacità di pensiero computazionale già all’inizio della scuola primaria.

Un’altra collega, Hala Khodr, sta usando i robot “Cellulo” per aiutare gli studenti a capire i comportamenti degli sciami, che sono onnipresenti in natura e difficili da comprendere per la nostra tendenza a vedere un leader e un’organizzazione centrale dietro ogni fenomeno complesso.

Infine, è risaputo che insegnare è il modo migliore per imparare: nel progetto iReCHeCkCollegamento esterno, un robot sociale impara a scrivere grazie ai bambini, che così si esercitano nella scrittura a mano con grande impegno e senza paura del giudizio. Questi esempi ci mostrano che il ruolo che la robotica può giocare nell’apprendimento e nell’educazione è più ampio e profondo di quanto si possa immaginare… perciò, è ancora più importante per noi fare ricerca.

Avete un’opinione in merito? Parliamone di fronte a un caffè (virtuale).

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