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“Non è possibile individuare sempre il virus”

Eckerle
Isabella Eckerle ha spesso espresso critiche nei confronti della gestione della pandemia da parte del governo svizzero. Keystone / Anthony Anex

Per lottare contro la terza ondata di Covid-19, la Svizzera punta sui test rapidi, i PCR e i fai da te. La virologa Isabella Eckerle dell'Ospedale universitario di Ginevra, paladina dei test, ricorda che non ci si può aspettare miracoli da questa strategia.

Isabella Eckerle dirige il Centro nazionale di riferimento per le infezioni virali emergenti di Ginevra e a più riprese ha ribadito l’importanza dei test per arginare la pandemia. A volte ha anche criticato la Svizzera per come stava gestendo la crisi provocata dal nuovo coronavirus.

Nell’agosto del 2020 ha sostenuto che il Paese era “mal preparato” per affrontare una seconda ondata, che “mancava una strategia” e che non si puntava a “sufficienza sui test”. Le autorità sanitarie hanno giustificato l’approccio titubante nei confronti dei test adducendo problemi d’approvvigionamento. Solo i sintomatici e chi si era esposto a un possibile contagio potevano effettuare gratuitamente il test diagnostico.

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Nelle ultime settimane, il governo ha cambiato strategia. Il 12 marzo ha annunciato una massiccia campagna di test, tra cui quelli rapidi disponibili gratuitamente anche per gli asintomatici. Dal 15 marzo tutti hanno a disposizione cinque test fai da te gratuiti al mese.

È la direttrice del Centro nazionale di riferimento per le infezioni virali emergenti di Ginevra, un’istituzione dell’Ospedale universitario di Ginevra e della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra. Nata in Germania ha studiato medicina all’Università di Heidelberg. Dopo alcuni viaggi di ricerca in Africa, la sua attenzione si è concentrata sulle malattie infettive e ha collaborato con il virologo tedesco Christian Drosten dell’Università di Bonn.

Isabella Eckerle si è specializzata nei virus di origine animale e negli ultimi dieci anni ha svolto ampie ricerche sui coronavirus. Il suo laboratorio ha diretto lo sviluppo e la convalida dei test diagnostici del SARS-CoV-2 in Svizzera. Di recente si è interessata particolarmente del ruolo che i bambini hanno avuto nella diffusione del nuovo coronavirus.

SWI swissinfo.ch: Perché la Svizzera ha atteso così a lungo prima di estendere la strategia dei test?

Isabella Eckerle: Ho l’impressione che in vari settori in Svizzera ci sia la tendenza a minimizzare la gravità della situazione. Prima del parziale confinamento e la chiusura di ristoranti, negozi e altre strutture ricreative, le persone non erano disposte a sottoporsi ai test per paura delle conseguenze, per esempio di dover andare in quarantena.

È ciò che osserviamo nella nostra unità ospedaliera. Durante la prima ondata, le richieste di test erano talmente elevate che non riuscivamo a soddisfarle. Continuiamo ad avere un alto tasso di positività, ma molta gente non si fa più testare. È stufa.

“Ho l’impressione che in vari settori in Svizzera ci sia la tendenza a minimizzare la gravità della situazione.”

L’approccio della Svizzera rispetto ai test è cambiato molto nel corso della pandemia. I criteri per potersi sottoporre ai test sono cambiati ed erano diversi tra un Cantone e l’altro, ciò che ha aumentato le difficoltà.

Va ricordato che in alcuni ambiti la Svizzera ha agito in maniera esemplare. L’anno scorso le autorità sanitarie hanno organizzato rapidamente i test antigenici.

Quanto ha pesato la difficoltà di fornitura dei test sulla strategia?

All’inizio non avevamo kit sufficienti per svolgere mille test PCR al giorno. Ne potevamo fare solo alcune centinaia. Quando le fabbriche hanno automatizzato la produzione, la disponibilità di test è aumentata, ma non era ancora sufficiente. Solo in estate siamo stati in grado di svolgere tutti i test richiesti.

Adesso l’approvvigionamento non è più un problema. I test antigenici autodiagnostici a casa favoriranno la lotta alla Covid-19. Non si tratta solo di un problema di disponibilità, bensì anche di organizzazione. Servono infrastrutture dove svolgere i test e formare il personale. E poi si devono chiarire alcune questioni relative quanto succede dopo il test, quando si conosce il risultato.

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Crede che una strategia di test a tappeto possa aiutare la Svizzera a gestire meglio la pandemia?

Penso che questo approccio contribuisca a vincere la ritrosia della popolazione nei confronti dei test. È necessario fissare degli obiettivi prioritari per gestire la pandemia. Vogliamo limitare i ricoveri in ospedale o ridurre la trasmissione del virus? È difficile adattare una strategia se non si conosce quale obiettivo si persegue.

In alcuni ambiti sarebbe importante aumentare i test, per esempio nelle scuole e nei centri sanitari. Sappiamo che ci sono persone asintomatiche. Dobbiamo assolutamente individuarle per bloccare i contagi.

Non c’è una sola soluzione per arginare la diffusione del virus. Credevamo che i test rapidi potessero essere la chiave di svolta nella lotta alla pandemia. Ma non è stato così, come non possiamo affidarci soltanto ai vaccini. Dobbiamo puntare su varie strategie: misure di protezione, test, vaccini. Una misura non può sostituire le altre. Sono tutte indispensabili.

Ritiene che i test di massa svolti su tutta la popolazione di una regione o di una città siano efficaci?

Stando ai dati disponibili sui test di massa sembra che questa strategia non cambi molto la situazione epidemiologica. È un’istantanea che obbliga a mettere un sacco di persone in quarantena senza tuttavia riuscire a debellare il virus. Per essere davvero efficaci, i test di massa andrebbero ripetuti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Nutro alcuni dubbi su una strategia a lungo termine volta ad individuare le persone asintomatiche.

Qual è la sua opinione riguardo all’obbligo di presentare un test negativo per andare al ristorante o allo stadio?

Non è possibile individuare sempre il virus. I test servono per limitare la diffusione del nuovo coronavirus, ma non vanno visti come un’alternativa alle misure di protezione. Un test rapido non è un lasciapassare. Anche se svolgiamo molti test rapidi, ciò non ci permetterà di ritrovare la normalità. Ci sarà sempre qualche portatore che diffonderà inconsapevolmente il virus. Il test è un’istantanea del momento. Magari il giorno dopo il risultato potrebbe essere positivo. Non è possibile testarsi ogni giorno.

“I test servono per limitare la diffusione del nuovo coronavirus, ma non vanno visti come un’alternativa alle misure di protezione.”

L’obiettivo deve essere quello di minimizzare il rischio di trasmissione. I test non sono la chiave per riaprire tutto. Ci dobbiamo interrogare su come usarli e quali rischi intendiamo correre. Secondo me, i test a scuola sono giustificati perché non possiamo chiuderle. Se un bambino risulta positivo, perché non inviare una squadra mobile per testare tutta la scuola? Sappiamo che molti bambini sono asintomatici e in questo modo sarebbe possibile individuare tutti i portatori del virus attraverso un test PCR.

Lei ha svolto un’approfondita ricerca sulla contagiosità dei bambini. Che cosa abbiamo imparato l’anno scorso?

Sappiamo che il virus può contagiare anche i bambini e questi ultimi lo possono trasmettere ai genitori o ad altre persone. Non abbiamo però ancora scoperto perché non si ammalano così spesso. Di solito non denotano problemi respiratori, ma magari sono stanchi e hanno mal di pancia. Sono sintomi difficili da individuare nei bambini.

A Ginevra, i test di sieroprevalenza, grazie a cui è possibile individuare quante persone, anche in assenza di sintomi, hanno sviluppato gli anticorpi al nuovo coronavirus, hanno dimostrato durante la prima ondata che i bambini sono stati contagiati meno degli adulti. Tuttavia, durante la seconda ondata, la percentuale di bambini infettati era quasi uguale a quella degli adulti.

Per quanto riguarda le varianti del virus, gli studi svolti nel Regno Unito mostrano che molti bambini sono stati contagiati, ma la causa potrebbe essere l’elevato numero di casi registrati. Inoltre alcuni bambini nel Regno Unito hanno sofferto di Long Covid.

La Svizzera ha avuto un approccio insolito nei confronti delle misure di prevenzione che i bambini dovevano rispettare. Per esempio, i bambini piccoli non devono portare una mascherina. Altri Paesi hanno invece esteso questo obbligo anche a loro. E poi si è discusso molto sul fatto che anche i bambini possono essere portatori del virus. Sarebbe stato meglio puntare l’attenzione sulle misure di prevenzione, per esempio riducendo il numero di allievi per classe o introducendo anche per loro l’obbligo di portare la mascherina.

Che cosa ci insegnerà questa pandemia?

Spero che la scienza e le autorità pongano l’accento sull’origine di questa pandemia, sulla distruzione degli habitat naturali e sullo sfruttamento degli animali. Sappiamo che ci sono molti virus che potrebbero causare una pandemia simile a quella che stiamo vivendo in questo momento. Il commercio di animali selvatici, la perdita di habitat, l’allevamento di massa di animali domestici potrebbero essere all’origine della trasmissione di un virus dagli animali all’uomo.

“La Svizzera ha avuto un approccio insolito nei confronti delle misure di prevenzione che i bambini dovevano rispettare.”

Dobbiamo puntare sulla prevenzione. Sapevamo che c’era un rischio di trasmissione all’uomo di un virus come il primo SARS. Purtroppo, non si è fatto a sufficienza per evitare che ciò avvenisse. Come con la crisi climatica ci vorranno decenni prima che si facciano dei passi concreti. Ora dobbiamo concentrarci sulla prevenzione.

La rivoluzione che abbiamo vissuto per quanto riguarda lo sviluppo dei vaccini mi fa credere che in futuro saremo meglio preparati per rispondere a una simile crisi.

La pandemia ha aumentato le disuguaglianze sociali. Le persone che ricevono un salario basso sono più a rischio di contrarre una malattia. In tutto il mondo andrebbero introdotti il congedo di malattia retribuito e gli aiuti sociali.

Quale sarà la prima cosa che farà quando ci saremo lasciati alle spalle la pandemia?

Visiterò la mia famiglia in Germania. Mi mancano molto gli incontri con gli amici e i familiari.

Traduzione dal tedesco: Luca Beti

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