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Su e giù dalle Montagne rocciose, per farle conoscere al mondo

Una scena tratta dal documentario del regista svizzero-canadese Josias Tschanz sulle guide alpine svizzere in Canada. Bruno Engeler Archives. Courtesy of Swiss Consulate General in Vancouver

Si chiamano Walter, Ernest oppure Christian: giganti canadesi alti più di 3'000 metri. Nomi svizzeri, come le guide alpine che per prime ne scalarono le vette. Oggi la loro storia rivive in un documentario, realizzato in occasione del centenario delle relazioni ufficiali tra Svizzera e Canada occidentale.

Negli anni Cinquanta del 1800, il cercatore d’oro e uomo d’affari George Stelli fu il primo svizzero ad insediarsi nella Columbia britannica. Nei decenni seguenti, la comunità svizzera nel Canada occidentale crebbe a tal punto da giustificare l’apertura di un consolato, inaugurato a Vancouver un secolo fa.

Tra questi immigrati c’erano anche una trentina di guide alpine, ingaggiate dalla società ferroviaria Canadian Pacific Railway (CRP) – responsabile di una catena di hotel sulle Montagne rocciose – per dare una spinta a un’industria turistica ancora agli albori.

Personaggi come Christian Haesler, Ernst Freuz e Walter Perren scalarono non meno di 50 delle 56 cime sopra i 3’000 metri.

Il loro impatto si è rivelato così importante e duraturo per la regione, da spingere le autorità locali a ribattezzare diverse vette coi loro nomi.

Una recente esposizione al Whyte Museum di Banff – situato nella regione di Alberta –sottolinea come i primi alpinisti svizzeri abbiano «contribuito a far conoscere e apprezzare le Montagne rocciose e a sviluppare una cultura di protezione e salvaguardia di questo patrimonio naturalistico».

«A loro si deve l’evoluzione di una cultura alpinistica in Canada», spiega il regista svizzero-canadese Josias Tschanz, incaricato dal consolato generale di Vancover di realizzare un documentario sulle guide svizzere, in occasione del centesimo anniversario della missione diplomatica.

In cinquant’anni di attività delle guide svizzere per la Canadian Pacific Railway, non c’è stata alcuna disgrazia, sottolinea il regista. E questo grazie all’eccellente tecnica degli alpinisti. «Così svizzeri, così ben organizzati».

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Nuova generazione di immigrati

Il documentario di Josias Tschanz è soltanto uno dei progetti lanciati in occasione del giubileo. Tra le proposte del consolato vi sono anche concerti del coro svizzero e di diversi club di yodel, dibattiti sulla democrazia in Svizzera e in Canada e letture pubbliche di giovani autori elvetici.

Far conoscere la Svizzera al pubblico non è l’unico obiettivo della rappresentanza diplomatica, secondo la  coordinatrice del progetto Stefanie Wunderlin. Si tratta anche, e soprattutto, di sottolineare la «splendida amicizia» tra i due paesi. Uno dei principali progetti è la realizzazione di un libro sull’immigrazione elvetica in Canada, che sarà pubblicato entro fine 2013.

Se oggi la gente emigra in Canada spinta dalla sete di avventura, spiega l’autrice Ilona Shulman Spaar, un secolo fa partiva alla ricerca di una vita migliore.

All’epoca l’emigrazione costituiva una scelta vincente per entrambi i paesi: in Svizzera non vi erano abbastanza posti di lavoro, mentre il Canada cercava di attirare coloni europei disposti ad installarsi nelle regioni occidentali del paese, terre di ribellione. Il giovane governo canadese temeva infatti che i coloni americani potessero giungere dal sud e prendere il potere.

«In questo periodo, l’immigrazione non era frutto di un’iniziativa individuale. Il governo svizzero e quello canadese aiutavano attivamente chi voleva partire», spiega Ilona Shulman Spaar.

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Chalet svizzeri

Mentre le guide svizzere continuavano a promuovere l’alpinismo nella regione, trasformandosi loro stessi in un’attrazione turistica (fu perfino costruito un villaggio-chalet per alloggiare gli alpinisti), una più ampia comunità svizzera iniziava a mettere radici in tutta la regione.

La crescita del numero di coloni ha così indotto un quotidiano canadese a scrivere: “Gli svizzeri sono gente robusta e indipendente, come dimostra la storia del loro paese. Non hanno nessuna ambizione di essere coccolati o protetti, ma apprezzano consigli e incoraggiamenti […]».

Dall’alpinismo allo sci

Dalla metà del 20esimo secolo, molti discendenti delle prime guide alpine si lanciarono nello sci, sport in rapida espansione.

«C’è una famosa fotografia di Rudi Gertsch [svizzero-canadese pioniere dell’eliski] mentre salta sopra un tea-room a Banff. A scattarla è stato Bruno Engleler, l’ultima guida ingaggiata dalla CPR. Questa immagine ha ispirato molti sciatori in Canada, come Rob Boyd, vincitore della Coppa del mondo nel 1986», afferma il regista Josias Tschanz.

Walter Perren, nato a Zermatt, è considerato il padre del soccorso alpino moderno nei parchi nazionali canadesi. Mentre il bernese Peter Schaerer ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo del sistema nazionale di protezione antivalanghe.

«Sono profondamente orgoglioso di chi è riuscito a fare cose straordinarie sulle Montagne rocciose e sviluppare questa cultura naturalistica», spiega il cineasta che è arrivato in Canada da adolescente con la sua famiglia.

«Milioni di turisti visitano ogni anno le Montagne rocciose e gran parte di questa attrattiva è dovuta proprio agli alpinisti svizzeri».

Il primo film di Josias Tschanz, Neutral Territory, è una storia autobiografica, che racconta la sua scelta di abbracciare pienamente lo stile di vita canadese e la costante battaglia contro il padre, fortemente ancorato alle tradizioni svizzere. Una situazione molto comune, secondo Spaar: «Mi sorprende come molti svizzeri che vivono in Canada continuino ad avere legami così forti con la loro cultura».

Al termine della Prima guerra mondiale, nell’ambito della sua politica dei buoni uffici la Svizzera neutrale difese gli interessi tedeschi nei campi di internamento nel Canada occidentale. Il consolato elvetico a Vancouver visitò i prigionieri tedeschi e ispezionò i campi per valutare le condizioni di detenzione.

«I rapporti erano molto dettagliati: quanto cibo veniva distribuito ai prigionieri, che tipo di vestiti indossavano e quali attività sociali potevano svolgere», spiega Spaars.

Ogni violazione alle Convenzioni dell’Aja – primo serio tentativo di tradurre in realtà progetti volti al mantenimento della pace universale (1899 e 1907) – veniva denunciata. I cambiamenti, quando avvenivano, prendevano spesso molto tempo. «Le autorità dovevano riportare tutto a Ottawa. Così le modifiche venivano introdotte da due a sei mesi più tardi».

Il consolato svizzero svolse un ruolo simile anche nella Seconda guerra mondiale e insistette affinché i campi di lavoro nelle zone più remote potessero essere visitate da parte del Comitato internazionale della Croce rossa.

Dal XVII secolo il Canada è terra di emigrazione per molti svizzeri.

Nel 1875 la Svizzera ha aperto rappresentanze consolari nel paese e nel 1945 ha allacciato relazioni diplomatiche.

Nel 2013 si festeggia il centenario dell’avvio delle relazioni ufficiali tra la Svizzera e il Canada occidentale.

Svizzeri residenti: 38’959 persone

Esportazioni svizzere 2012: CHF 3’239 milioni (+ 16,8 per cento rispetto al 2011)

Importazioni svizzere 2012: CHF 639 milioni (+17,9 per cento)

 

(Fonte: Dipartimento federale degli affari esteri)

(Traduzione dall’inglese)

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