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Dei (piccoli) regali in cambio dei vostri dati

Ha la carta Cumulus? Ha la Supercard? Alle casse della Coop o della Migros, le due più grandi catene di supermercati svizzere, questa domanda è ripetuta come un mantra. swissinfo.ch

I consumatori svizzeri non nutrono particolare diffidenza nei confronti delle popolari ma indiscrete carte fedeltà. La legge federale sulla protezione dei dati impedisce in ogni caso gli abusi, ritiene il sociologo Sami Coll, autore di un saggio sul tema.

«Sorvegliare e ricompensare. Le carte fedeltà che ci governano»: è il titolo che Sami CollCollegamento esterno, sociologo all’Università di Losanna, ha scelto per il suo libro pubblicato dalla casa editrice Seismo. Nello studio, che presenta anche numerose testimonianze, l’autore analizza il potere di controllo di queste carte elargite dai grandi distributori svizzeri ai loro clienti.

swissinfo.ch: Per ottenere una carta fedeltà bisogna compilare un formulario d’adesione. Le risposte sono in seguito studiate per stilare il profilo dell’acquirente. Non è in fin dei conti una trappola?

Sami Coll: No, in ogni caso storicamente queste carte non sono state pensate per questo scopo. Se si fa un passo indietro, si constata che le carte fedeltà, prima di diventare un dispositivo di sorveglianza, erano un bollo che permetteva di avere dei ristorni sui prodotti acquistati. Il supermercato svizzero che designo con la lettera W [allo scopo di mantenere l’anonimato] ha iniziato a utilizzare questi bolli negli anni ’50.

Alla base del libro di Sami Coll, vi è la sua tesi di dottorato in sociologia, sostenuta all’Università di Ginevra nel 2010.

Il libro si appoggia su analisi e su un’inchiesta condotta tra il 2007 e il 2008 con clienti e impiegati dei negozi svizzeri.

Per mantenere l’anonimato dei negozi, l’autore li ha designati con degli pseudonimi.

Durante l’inchiesta, in Svizzera circolavano 2,5 milioni di carte per il negozio W, 850’000 per Parc, 2,7 milioni per Poke e 120’000 per FFF. Sono le cifre comunicate a Sami Coll dai responsabili che ha intervistato.

È solo più tardi, quando le carte sono state informatizzate, che la raccolta di informazioni sui clienti è diventata possibile. Ci si è resi conto che si potevano conservare le informazioni raccolte per utilizzarle in seguito a fini commerciali, ad esempio per rivolgersi in modo molto più mirato ai consumatori.

swissinfo.ch: Tuttavia sottolinea che non bisogna sprofondare nell’angelismo, poiché una volta che le tecnologie di sorveglianza sono instaurate, «gli effetti in materia di controllo sono ben reali». Vi è quindi un pericolo?

S.M.: Vi può essere un pericolo, ma non in Svizzera, poiché abbiamo la Legge federale sulla protezione dei dati (LPD), che impedisce gli abusi. Un’azienda che dispone dei dati personali dei suoi clienti non ha diritto di trasmetterli a un’altra entità: compagnie d’aviazione, banche, assicurazioni… Se vuole trasmetterli, è obbligata ad informare i clienti, precisando quale uso verrà fatto dei loro dati.

Se i clienti sono d’accordo, allora la trasmissione può avvenire. La LPD è stata instaurata nel 1992 per palliare alla mancanza di precisione nella Costituzione e nel Codice civile svizzeri, che rimangono abbastanza vaghi in materia di protezione della sfera privata dei cittadini, soprattutto per quanto concerne i dati personali digitalizzati.

swissinfo.ch: Non è imprudente accettare che un negozio trasmetta i dati a un’altra entità?

S.M.: No, probabilmente alcuni ritengono di avere un loro tornaconto. Durante la mia inchiesta, ho posto a dei clienti la domanda seguente: ‘Se ricevesse dei ribassi sui premi dell’assicurazione malattia, accetterebbe che il suo negozio trasmettesse i dati all’assicuratore affinché quest’ultimo possa constatare che lei acquista dei prodotti alimentari sani?’. Ci sono persone che mi hanno risposto di sì.

swissinfo.ch: Afferma che oltre l’80% delle persone intervistate ammette di sapere che la carta fedeltà svela una parte della loro vita privata. È la sete di guadagno che spinge la gente a usarla?

S.M.: Direi che è piuttosto il forcing dei negozi, ossia la pressione che i commercianti mettono sui loro clienti. Quando chiedevo a questi ultimi di spiegarmi perché avevano una carta, mi dicevano che non si ricordavano più. Visto che non costava nulla, la prendevano, per loro era uguale se i loro dati venivano divulgati, poiché «in ogni caso non avevano nulla da nascondere». Non nutrono diffidenza nei confronti delle grandi catene.

Non mi è neppure sembrato che facessero un calcolo razionale, quel calcolo che gli specialisti attribuiscono spesso ai consumatori e che sostiene che questi ultimi sono disposti a vendere un po’ della loro privata per avere qualche vantaggio. Si chiama la teoria del compromesso, o trade-off, ma è difficile da verificare. Come si può misurare la sfera privata? Difficile scambiare dieci grammi di sfera privata contro un litro di latte.

swissinfo.ch: Lei ha vissuto negli Stati Uniti. La protezione dei dati è regolamentata negli USA?

S.M.: No, negli Stati Uniti non esiste una legge sulla protezione dei dati come in Svizzera o altrove in Europa. In generale, però, i negozi americani rispettano la vita privata dei loro clienti, per evitare in particolare di avere una cattiva reputazione sul mercato. Detto ciò, il forcing che praticano è sorprendente.

Ho potuto constatare, ad esempio, che certi negozi non applicano la politica dei ristorni come da noi. Vi penalizzano se non avete una carta fedeltà. Ciò vuol dire che i prezzi possono essere maggiorati del 20-30%. Evidentemente non vi presentano la cosa esattamente in questo modo, ma vi fanno ben capire che, senza carta, non avrete mai una riduzione.

swissinfo.ch: In fin dei conti, avere una carta fedeltà rappresenta un guadagno?

S.M.: Non si guadagna granché, soprattutto in Svizzera, dove i regali offerti grazie alle carte non sono fenomenali. Tuttavia sembra siano sufficientemente attraenti, poiché così tante persone si interessano. Alcuni degli intervistati mi hanno confidato di far fatica ad arrivare alla fine del mese. Apprezzano quindi i bonus.

swissinfo.ch: E lei possiede una carta?

S.M.: No, non mi interessa e poi non sono abbastanza organizzato. Ho scritto un libro su questo tema e mi ha un po’ scoraggiato. Però, se vivessi negli Stati Uniti ci rifletterei due volte. 

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