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Da anni al fronte con lo stesso “fuoco sacro”

Martin Weber impegnato ad Haiti. Augusta Theler

Da decenni il medico svizzero Martin Weber partecipa a interventi umanitari nelle regioni colpite da catastrofi. Intervistato da swissinfo.ch al ritorno da Haiti, racconta come – anche dopo una settantina di missioni – riesce ancora a emozionarsi e arrabbiarsi.

Sin da ragazzo Martin Weber si interessa a ciò che è lontano e diverso. Negli anni della gioventù viaggia molto in Asia e Africa, e in quel periodo matura una convinzione: desidera imparare un mestiere che lo porti a contatto con la gente, senza essere necessariamente legato alla Svizzera. Di conseguenza diventa medico.

Già dall’inizio della sua carriera Martin Weber comincia quindi a prestare aiuto nelle aree del pianeta devastate da eventi tragici. Con passione e convinzione, il giovane medico fa di tutto affinché ad approfittare del suo aiuto siano direttamente le persone in difficoltà oppure le organizzazioni che operano sul posto.

«In una medicina caratterizzata dall’importanza sempre maggiore della tecnologia e dell’informatica, a me interessava piuttosto quanto di buono era possibile realizzare con l’empatia, l’esperienza e relativamente poco materiale», sottolinea il 63enne.

Anche se durante la sua vita professionale è stato confrontato a tanta povertà, sofferenza e miseria umana, il medico non si sente affatto più insensibile rispetto agli inizi: «Ho chiesto ai miei cari di farmi immediatamente notare se un giorno dovessi esprimermi in modo cinico in merito a quello che faccio. Quello sarebbe allora il momento di smettere».

Un veterano di Haiti

Il momento di appendere il camice al chiodo sembra comunque ancora ben lontano per l’infaticabile esperto di medicina tropicale, che è appena rientrato da Haiti; qui – per conto della Croce rossa svizzera e in collaborazione con Médecins du Monde – ha partecipato alla realizzazione di un centro anti-colera nel sud del paese.

Martin Weber conosce bene Haiti: già nel 2008 e nel 2010 vi ha trascorso lunghi periodi, per prestare aiuto dopo le catastrofi naturali che hanno colpito l’isola caraibica. In quelle occasioni, il medico svizzero aveva peraltro già potuto constatare le precarie condizioni igieniche e la scarsa preparazione per lottare contro le epidemie.

Secondo il navigato dottore anche adesso la situazione presenta delle gravi lacune, sia per quanto concerne la ricostruzione, sia a livello di assistenza sanitaria. In particolare, Weber critica la mancanza di cooperazione tra le 10’000 organizzazioni umanitarie presenti in loco. Queste ultime – spiega – sono inoltre sottoposte alla pressione di impiegare gli aiuti finanziari, ma spesso il denaro non viene utilizzato laddove sarebbe più necessario.

Occorre pragmatismo

Il medico sottolinea la necessità di essere maggiormente pragmatici. Per esempio, non ha senso – alle condizioni attuali – progettare un immenso edificio scolastico il cui completamento richiederebbe anni. «Ai bambini serve qualcosa adesso. A loro non importa se la scuola è un edificio costruito conformemente agli standard svizzeri oppure se si tratta di un container o di una tenda».

Lo stesso discorso vale per gli ospedali: «Prima che la costruzione di un grande ospedale sia terminata e prima che sia stato trovato il personale adeguato, spesso le donne devono partorire tra le macerie e muoiono dissanguate per complicazioni minime. È uno scandalo!».

La situazione igienico-sanitaria era già molto precaria prima del terremoto, e lo stesso vale per il sistema sanitario, nonostante il buon lavoro svolto dalle istituzioni religiose presenti da tempo sull’isola. Gli ospedali pubblici di qualità accettabile, rileva Weber, si potevano infatti contare sulle dita di una mano.

Ad Haiti ci sono bravi medici, che spesso hanno studiato a Cuba: a loro manca però la pratica. Secondo Weber, un’altra difficoltà in questo ambito è costituita dal fatto che le organizzazioni umanitarie offrono al personale indigeno condizioni di lavoro migliori. Paradossalmente, quindi, si crea una sorta di “fuga dei cervelli” interna: questi professionisti finiscono infatti per mancare alle istituzioni locali.

Teoria e pratica

Martin Weber evidenzia pure la burocrazia sempre più presente, segnatamente il fossato crescente tra chi opera sul terreno e chi coordina le operazioni di aiuto da lontano. Il medico elvetico auspica a questo proposito che i delegati attivi in loco possano avere maggiore libertà d’azione.

Infatti, aggiunge, oggigiorno il personale alla centrale ha meno esperienza pratica rispetto al passato: «La loro attività è caratterizzata dall’esigenza di scrivere un’infinità di rapporti, di partecipare continuamente a riunioni e condizionata dalle continue ristrutturazioni».

Il risultato? O si diventa parte del sistema – «e quindi ogni input proveniente dall’esterno viene percepito come una contestazione al proprio lavoro» – oppure si formulano delle critiche, ciò che non è però facile.

Nel segno della Croce rossa

Dal canto suo, Martin Weber si dice profondamente legato alla Croce rossa e al suo spirito, anche se riconosce che pure questa organizzazione ha un notevole potenziale di miglioramento.

Per esempio, a suo parere il CICR potrebbe costruire – in collaborazione con la Confederazione – un ospedale nella zona occidentale di Haiti, impegnandosi per la formazione del personale e garantendo così una prospettiva a lungo termine al paese.

In Svizzera, invece, secondo Weber dovrebbe essere formato un gruppo di dottori pronti a intervenire in caso di catastrofe: «Una specie di squadra nazionale, lontana da qualsiasi spirito di campanile!», conclude.

Vittime. Il terremoto del 12 gennaio 2010 ha provocato la morte di oltre 250’000 persone. Ancora oggi oltre 1 milione di persone si ritrovano senza tetto. Secondo l’organizzazione umanitaria Oxfam, soltanto il 5% delle macerie sono state sgomberate finora.

Aiuti. Dei 2,1 miliardi di dollari promessi dal governo un anno fa, soltanto il 42% è stato effettivamente versato, a detta dell’ONU.

La comunità internazionale ha promesso aiuti per 10 miliardi di dollari destinati all’opera di ricostruzione. Una commissione presieduta dall’ex presidente americano Bill Clinton e dall’ex ministro haitiano Jeam-Max Bellerive è stata incaricata di gestire questi fondi.

Svizzera. La Confederazione ha stanziato 35,9 milioni di franchi per sostenere la ricostruzione di Haiti. La Catena della Solidarietà ha raccolto l’anno scorso donazioni per 66 milioni di franchi per aiutare le vittime del terremoto. Circa un terzo è già stato impiegato per il finanziamento di una sessantina di progetti.

Nasce nel 1948 a Berna

1968-1975: studia medicina nella medesima città.

1975-1984: specializzazione in medicina generale e medicina tropicale.

Dal 1973: missioni all’estero. Tra queste: Indonesia, India, Bangladesh, Tibet, Ghana, Camerun, Sudan, Romania, Bulgaria, Haiti.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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