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Il salario non è tutto

Un lavoratore su due è soddisfatto del proprio stipendio. Più dei soldi, quello che conta nella scelta professionale è però l'ambiente sul posto di lavoro.

Il 49% dei salariati nella Confederazione si considera soddisfatto o molto soddisfatto della propria busta paga, rileva il barometro svizzero delle risorse umane realizzato dall’Università e dal Politecnico federale di Zurigo. Solamente il 13% delle 1’370 persone intervistate è insoddisfatto o molto scontento.

Lo studio evidenzia tuttavia che il salario non ha un’influenza decisiva sulle scelte professionali. Al momento di cambiare occupazione, gli impiegati accordano in effetti maggiore importanza alla qualità del posto di lavoro. Certo, la soddisfazione aumenta parallelamente all’incremento dello stipendio lordo; cresce tuttavia ancor di più quando le imprese migliorano la gestione delle risorse umane, in particolare attraverso la valutazione delle prestazioni o lo sviluppo individuale.

La carriera conta poco

Nonostante i dipendenti siano soddisfatti della loro attività e dell’equilibrio tra vita familiare e lavoro, il numero di coloro che prevedono di cambiare impiego è in aumento. Nel 2007, circa un terzo degli intervistati (il 5% in più rispetto all’anno precedente) ha manifestato l’intenzione di cercare un’altra occupazione.

In aumento pure i salariati che dichiarano di non dare molto rilievo alla carriera. Uno stato d’animo oggi condiviso da un lavoratore su tre. Non mancano tuttavia le differenze regionali: i romandi accordano in generale all’attività professionale un’importanza minore rispetto agli svizzeri tedeschi. Si mostrano però più pessimisti per ciò che concerne la capacità di ritrovare un impiego dopo aver perso il loro posto di lavoro.

Reagendo alle cifre del barometro, l’Unione sindacale svizzera (USS) ha voluto far notare che nelle classi di salario inferiori, la percentuale di persone scontente della propria busta paga è decisamente più elevata.

700’000 persone continuano a guadagnare meno di 4’000 franchi al mese (2’600 euro), rammenta l’USS, e 200’000 persone non riescono ad arrivare a fine mese malgrado svolgano una professione (working poor). Per limitare le disparità salariali, i sindacati ribadiscono la necessità e l’urgenza di innalzare i salari minimi.

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