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Investire nell’equità, un affare vantaggioso e pulito

Formare alla ricostruzione invece di ricostruire: l'imprenditoria sociale è la chiave di uno sviluppo duraturo Keystone

Un mondo diverso è possibile. I successi dell'imprenditoria sociale lo dimostrano. Le banche svizzere potrebbero imprimere un'accelerazione a questo processo e trarne profitti. Un recente convegno al Centro di studi bancari di Vezia, alle porte di Lugano, ha indicato la via.

Abbinare il capitalismo alla socialità, di primo acchito sembrerebbe un’alleanza contro natura che potrebbe provocare moti di rifiuto in entrambi i campi. Resistenze e diffidenze vinte dagli organizzatori dell’incontro al Centro di studi bancari, che hanno portato allo stesso tavolo le parti per uno scambio proficuo.

“Il successo di questa visione in Svizzera, come in altri paesi, dipende dalla capacità di questi due mondi non solo di convivere, ma di conoscersi e di operare in modo sinergico”, spiega a swissinfo.ch il professore di diritto Paolo Bernasconi, promotore del convegno ‘Profit for not profit’.

Un incontro organizzato proprio per consentire a questi due mondi di rendersi conto, con fatti concreti, di quello che ognuno può offrire all’altro e dare vita a una cooperazione d’avvenire.

Da un lato, gli operatori umanitari con i risultati tangibili di una lunga esperienza imprenditoriale in favore dei bisognosi. Dall’altro gli operatori finanziari con un bagaglio di mezzi e servizi che consentono di realizzare i progetti.

La dimostrazione dei fatti

“Da soli non si può fare niente”. Per ridurre la povertà, fare uscire le vittime dai circoli di abusi e sfruttamento, è fondamentale “coordinare gli sforzi. Quindi abbiamo bisogno delle idee creative e imprenditoriali, come pure dei finanziamenti che vengono dal settore privato”, ha dichiarato Piergiorgio Tami, fondatore, nel 1994 in Cambogia dell’organizzazione Hagar Internazionale.

Basandosi sui principi dell’imprenditoria sociale, Tami ha creato una rete di aziende eque redditizie. I programmi integrati di Hagar permettono così a un numero crescente di donne e bambini di riabilitarsi fisicamente, psicologicamente e socialmente e di acquisire l’indipendenza economica tramite la formazione e il lavoro.

In un paese in cui la media del reddito mensile è di 61 dollari, le impiegate dei progetti di Hagar ne guadagnano fra gli 85 e i 110 e beneficiano inoltre di una serie di prestazioni sociali e sanitarie. Sperimentato e consolidato in Cambogia, il modello è stato esportato anche in Vietnam, Laos e Afghanistan.

Sostituire la carità con l’imprenditorialità sociale

Il buon esito dei progetti di aiuto è indissociabile da una gestione che integra strumenti di mercato e principi sociali e dalla responsabilizzazione dei beneficiari. Gli indigenti vanno preparati e formati per un lavoro dignitoso che garantisca l’indipendenza economica. Solo un aiuto umanitario che genera profitto e che ha un impatto sostenibile assicura una prosperità durevole.

Lo sviluppo non può essere acquisito con un aiuto inteso come semplice assistenza, sottolinea Piergiorgio Tami. L’esperienza dimostra che la strategia della pura beneficienza è fallimentare. Essa incoraggia la dipendenza, distorce il mercato, è caratterizzata da un flusso di capitali incostante, mette a repentaglio le responsabilità tra governo e cittadini, osserva il ticinese.

Una gestione aziendale rigorosamente professionale non solo permette di reinvestire gli utili nell’impresa e nella comunità, ma conquista la fiducia degli investitori esterni e dei donatori. Questa condizione è indispensabile per raccogliere i fondi necessari al rafforzamento delle proprie capacità, all’espansione e al trasferimento delle conoscenze.

Presupposti confermati anche dai rappresentanti delle banche. “Gli investimenti finanziari sostenibili si concentrano sulle società, tenendo presenti gli aspetti ecologici e sociali, ottengono successi economici sul lungo periodo”, ha precisato Marco Campana, condirettore della BSI SA.

Pertinenza, efficienza, efficacia, sostenibilità e impatto sono pure i criteri di scelta dei progetti cui la Fondazione del Ceresio, dell’omonima banca di Lugano, accorda il proprio sostegno, ha dichiarato la vicepresidente Maria Alessandra Solaro del Borgo. La fondazione devolve circa mezzo milione di franchi dell’utile annuale a iniziative sociali “che cercano di risolvere problemi pubblici con una mentalità privata”. Un membro del consiglio di fondazione segue attivamente i progetti.

Terreni fertili che le banche dovrebbero coltivare

Alle banche si offrono nuovi mercati. Esse hanno “tutto da guadagnare dall’attivazione della gestione del patrimonio non profit”, afferma Paolo Bernasconi. Secondo l’avvocato ticinese attivo a livello internazionale, “migliorando le proprie conoscenze del settore, le banche possono offrire investimenti alternativi e orientare la clientela che si sta sensibilizzando verso l’imprenditoria sociale”.

L’esperto di diritto penale dell’economia ricorda che, “specialmente nel mondo anglosassone, sono ormai innumerevoli, da anni, le imprese che alle attività tradizionali affiancano iniziative di carattere sociale”. Anche in Svizzera c’è un’evoluzione in questo senso. Il Ticino, tuttavia, accusa un ritardo che dovrebbe affrettarsi a colmare, se non vuole rischiare di perdere definitivamente il treno per un mercato in piena espansione.

Bernasconi rammenta i risultati “accattivanti” ottenuti nei paesi anglosassoni “sia sul piano del profitto che su quello filantropico”. E rileva che nel mondo “sono sempre più numerosi gli investitori che diversificano i loro collocamenti operando anche nell’imprenditoria sociale”.

Secondo l’avvocato, ci si trova di fronte a “una svolta importantissima, in contrasto con le forme più arcaiche di capitalismo, che oggi trovano le loro manifestazioni più perniciose – ironia della sorte – nel colonialismo economico di stampo cinese e russo”.

Sonia Fenazzi, swissinfo.ch

Così Sandor Nagy, direttore associato della Schwab Foundation for Social Entrepreneurship, ha definito l’imprenditore sociale tipico.

L’imprenditore sociale applica regole di mercato e modelli del business, ma massimizza l’impatto sociale piuttosto che il profitto.

Combatte i limiti ideologici e crede nelle capacità della gente di contribuire al proprio sviluppo sociale ed economico (insegna a pescare piuttosto che distribuire pesci).

Ha un approccio pratico e innovativo. Non ha paura dei rischi, ma li valuta attentamente. Misura e monitora l’impatto, pone standard elevati e cerca di migliorare costantemente.

Non si siede ad aspettare che le cose accadano, ma è egli stesso l’agente del cambiamento.

1 dollaro investito nelle piccole e medie aziende sociali genera dai 6 ai 12 dollari in valore economico, puntualizza Piergiorgio Tami.

Questi investimenti hanno un impatto multiplo. Creano occupazione, prodotti per la comunità, un giro d’affari per i fornitori, introiti fiscali, buon governo aziendale, responsabilità finanziaria e profitti.

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