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Trovare un impiego, le tribolazioni dei coniugi di espatriati

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Per mogli e mariti di lavoratori e lavoratrici espatriati, la vita in Svizzera può essere piacevole ma a volte anche poco gratificante. Chi vuole a sua volta trovare un impiego deve armarsi di pazienza. E magari anche cercare sostegno presso un centro di consulenza professionale specializzato.

Il Rosengarten di Berna è un luogo molto popolare tra gli abitanti della capitale. I bambini giocano sulle altalene, gli adolescenti si rilassano appoggiati al muro che domina la città vecchia e il cameriere è indaffarato a servire cappuccini agli avventori del ristorante, che chiacchierano tranquillamente seduti al sole.

«Mi sento come se dovessi far qualcosa», ci dice Kristina Held, una 27enne statunitense arrivata a Berna nove mesi fa assieme al marito, contabile presso la eBay. Lei è laureata in lingua e letteratura inglese. Per seguire il coniuge in Svizzera, ha per ora messo da parte il sogno di una carriera nell’editoria.

Di fianco a lei, Richard Davis, 48enne britannico, assente col capo. Lui e sua moglie facevano parte del gruppo di 250 stranieri che nel 2013 la multinazionale statunitense 3M ha trasferito a Burgdorf, cittadina del canton Berna. Oggi a mantenere la famiglia è la moglie, mentre Richard Davis è diventato un provetto montatore di mobili Ikea. I coniugi dei lavoratori espatriati della società hanno sviluppato una rete sociale, spiega, ma «coloro che [in passato] lavoravano cominciano ad avere il prurito alle mani».

Coniuge felice, famiglia felice

Far sì che le famiglie dei dipendenti siano felici è un aspetto cruciale per quelle ditte che importano manodopera, afferma Sabine Binelli, manager presso lo «Spouse Career Centre» di Basilea e Zurigo. Questa società è stata fondata nel 2001, quale progetto pilota dopo che la multinazionale farmaceutica Novartis era stata confrontata con un’ondata di dipendenti espatriati impiegati a Basilea che aveva deciso di ritornare a casa.

«La Novartis era veramente scioccata e non capiva bena cosa stesse succedendo», ricorda Binelli. Dalle interviste coi dipendenti partiti era emerso che la loro decisione «non era motivata dalla scontentezza. Si erano integrati velocemente. Avevano lo stesso lavoro e le stesse persone attorno a loro». La Novartis si era invece resa conto «che erano le famiglie, in particolare i coniugi, che non riuscivano ad integrarsi».

Per affrontare questo problema, sempre più spesso grandi aziende e organizzazioni economiche sviluppano dei programmi di sostegno ai coniugi. «Meet & Greet», dell’ente di sviluppo economico del canton Soletta, propone ogni mese delle visite culturali e di aziende, che aiutano i lavoratori espatriati e i loro partner a crearsi una rete di contatti.

La Scintilla SA, una filiale della Bosch con sede a Soletta, offre ai coniugi dei suoi dipendenti stranieri 3’700 franchi all’anno per seguire dei corsi, ad esempio di lingua, usufruire di una consulenza per la carriera o altre forme di sviluppo personale.

Un investimento più che una spesa

Rieger and HR representatives from other companies in the area have also joined up to help each other. In September they began meeting once a month to exchange information about trailing spouses from their companies who have interesting job profiles and want to work.

«A volte dico a queste persone: ‘sapete, si tratta di una chance per fare qualcosa per voi stessi’», indica Andrea Rieger, del settore risorse umane della Scintilla. «Paghiamo perché vogliamo che l’esperienza sia positiva per tutta la famiglia».

Rieger e i responsabili delle risorse umane di altre aziende della regione hanno iniziato ad incontrarsi regolarmente per scambiarsi informazioni sui coniugi dei lavoratori espatriati che cercano lavoro e che hanno un curriculum vitae interessante.

Quattro mesi di consultazione presso il «Spouse Career Centre» di Basilea costano circa 10’000 franchi. Non è molto, afferma Binelli, se si considera quanto spende una società per trasferire i suoi dipendenti. «Se assumono persone nel mercato internazionale, generalmente devono pagare un cacciatore di teste. Poi devono pagare il trasferimento, l’alloggio, le spese di scolarizzazione. Il sostegno all’integrazione deve far parte di questo pacchetto. È essenziale, ma il suo costo resta comunque modesto».

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Conoscere se stessi

Quali aiuti fornisce esattamente un consulente professionale? Diana Ritchie, responsabile dello «Spouse Career Centre» della Svizzera francese, spiega che chi cerca lavoro deve prima di tutto conoscersi meglio. Lei inizia generalmente ponendo ai suoi clienti tutta una serie di domande. Quale lavoro faceva prima di venire in Svizzera? Cosa vorrebbe fare? Che lingue parla? Sarebbe disponibile ad effettuare attività di volontariato?

«Conoscere se stessi, sapere cosa si ha da offrire e chi potrebbe essere interessato sono tre elementi fondamentali per avere successo nella ricerca di un lavoro», sottolinea Diana Ritchie.

Una delle persone che fa capo a Diana Ritchie e al suo team è Lucia Della Torre, avvocatessa italiana specializzata nell’immigrazione e nell’asilo. Lucia Della Torre è arrivata a Losanna in settembre, dopo che suo marito, scienziato specialista di materiali, è stato assunto dal Politecnico federale di Losanna.

Volontariato, trampolino di lancio

Questa donna, che parla italiano, inglese e spagnolo e sta studiando francese, ha trovato due impieghi non pagati nel suo ramo, uno a Losanna, l’altro a Ginevra. «Mi pagano con l’esperienza che acquisisco», spiega. Per lei, il volontariato è però un trampolino di lancio, non un fine in sé. Essere pagata per il suo lavoro è importante. «Credo che potrei fornire un lavoro di qualità e questo deve essere ricompensato».

Anche Richard Davis incontra regolarmente un consulente professionale, pagato dalla 3M. Il suo primo compito è stato di aggiornare il curriculum vitae. «Avendo lavorato per così tanto tempo per la stessa società, non avevo un CV adeguato per candidarmi per un impiego in Svizzera. Era pratico per passare da un posto all’altro in seno all’IBM, ma era molto specifico ai bisogni di questa ditta».

Come Lucia Della Torre, Richard Davis sta imparando la lingua del posto, il tedesco. Viste le sue limitate conoscenze, avrà bisogno di diverso tempo prima di riuscire a padroneggiarlo a sufficienza. Sfortunatamente per lui, la maggior parte dei posti in cui l’inglese è la lingua di lavoro si trovano a Ginevra, Zurigo e Zugo, ciò che implicherebbe lunghi trasferimenti quotidiani.

Kristina Held non può invece contare su aiuti esterni per trovare un lavoro. Effettua le sue ricerche online, lavora come freelance per qualche rivista statunitense e – come molte donne anglofone arrivate in Svizzera – sta valutando la possibilità di ottenere un certificato per insegnare l’inglese.

Per continuare ad esercitare la scrittura, gestisce un blog. «Mi permette di far qualcosa il mattino e di stimolare la mia creatività». Tuttavia, aggiunge, spesso «arrivo alle quattro del pomeriggio e mi chiedo: ‘Cosa ho fatto tutto il giorno?’».

Sensazione di vuoto

Questa impressione di vuoto è una sensazione comune per molti stranieri che vengono da paesi in cui la gente si definisce spesso attraverso il lavoro.

«Mi piacerebbe molto fare qualcosa della mia vita, oltre a stare a casa», sottolinea Lucia Della Torre.

Andrea Rieger indica dal canto suo che quando si trova di fronte a nuovi arrivati, consiglia loro di non porre l’asticella troppo in alto: «Non mettetevi troppa pressione pensando che tutto deve sistemarsi nei primi tre mesi, poiché la maggior parte delle volte sarete delusi».

(traduzione di Daniele Mariani)

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