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Come suonare la sveglia nei villaggi dormitorio

Molti vecchi villaggi agricoli in cui c'era un forte spirito comunitario oggi sono diventati "paesi dormitorio" per gente che lavora in città e si isola nelle proprie ville. Per esempio Suberg... www.zumbeispielsuberg.ch

Una volta visti come vivaci e affiatati, oggi molti vecchi villaggi agricoli svizzeri trasformatisi in centri satelliti per pendolari stanno lottando per tenere insieme il loro tessuto sociale. La gente tendenzialmente non si vuole più impegnare, ma l'impulso per rianimarli può venire anche da una sola persona.

C’era un tempo in cui a Suberg, un villaggio poco distante da Berna c’erano vecchie case contadine con al loro esterno una panchina di legno, da cui si poteva ammirare il paesaggio. La sera, dopo faticose giornate di lavoro, i contadini si sedevano sulle loro panchine per riposare e scambiare quattro chiacchiere con i vicini.

Ma quei giorni sono ormai lontani. La maggior parte delle vecchie case agricole sono state sostituite da moderne ville circondate da alte siepi che le mettono al riparo dagli sguardi indiscreti. Così come le stradine di campagna hanno lasciato il posto all’autostrada e a una linea ferroviaria su cui sfrecciano treni ad alta velocità.

“Non si vede mai nessuno seduto di fronte alla strada”, dice Kathrin Gschwend, una abitante di Suberg. “Ora abbiamo il nostro giardino sul retro”.

Per accogliere gente che lavora in città, ma vuole avere una dimora in un posto tranquillo, Suberg e molti altri paesi simili sono stati trasformati negli ultimi decenni in cosiddetti “villaggi dormitorio”: sono caratterizzati dalla presenza di case molto spaziose e dall’assenza del senso di comunità.

A Suberg – che conta 612 abitanti – il negozio locale, l’ufficio postale, la banda musicale e la cooperativa agricola sono diventati ricordi del passato. Gli abitanti ora fanno la spesa nel borgo vicino, lavorano nelle città dei dintorni e raramente socializzano con i vicini.

“Mi sento piuttosto solo la notte”, dice Simon Baumann, che è nato e cresciuto a Suberg e che è tornato a viverci con la compagna Kathrin Gschwend qualche anno fa. Colpita dall’isolamento che vi regna, la coppia ha girato un documentario sulla trasformazione del villaggio. E i due cineasti sono rimasti sorpresi dall’ondata di reazioni.

Il regista Simon Baumann, è nato e cresciuto a Suberg. Ha realizzato il documentario Zum Beispiel Suberg con la sua compagna, Kathrin Gschwend. Divertente e commovente, il lungometraggio narra il tentativo dello stesso cineasta di integrarsi nel villaggio natío dopo il ritorno nella vecchia casa di famiglia.

Simon Baumann entra a far parte del coro maschile e va a bussare alle porte dei vicini, per cercare di creare dei legami con la gente del posto. Il documentario contiene anche scene memorabili in formato super 8 millimetri, filmate da suo zio. Si tratta di scene di vita a Suberg al tempo del nonno di Simon, un contadino laborioso, la cui morte alla fine degli anni ’70 ha costituito l’ultimo corteo funebre nel villaggio e la fine di un’epoca.

Per il regista, Suberg è rappresentativo di un’evoluzione globale. “Si dice che il mondo è diventato un villaggio. Supponiamo che questo villaggio sia per esempio Suberg. Allora vi si può vedere tutto il mondo”, afferma Simon Baumann nel documentario.

Prima di uscire nelle sale della Svizzera tedesca, alla fine di novembre del 2013, Zum Beispiel Suberg ha ricevuto delle onorificenze. Ha vinto il concorso “Documentario-CH 2010” ed è stato premiato al festival internazionale del documentario “Visions du Réel” di Nyon. Inoltre Baumann lo scorso ottobre è stato incoronato miglior regista al Premio del cinema 2013 del canton Berna. Il film uscirà in DVD in primavera.

Il film va dritto ai cuori

Quando Zum Beispiel Suberg (Per esempio Suberg) questo inverno è stato proiettato nelle sale cinematografiche della Svizzera tedesca, Baumann e Gschwend hanno ricevuto commenti da centinaia di spettatori che dicevano che i loro villaggi avevano subito un destino simile e che non erano contenti. “Ricevevamo lettere tutti i giorni”, racconta Baumann. “Dappertutto è come a Suberg”.

Il film mostra Baumann, i cui amici d’infanzia hanno lasciato Suberg per Zurigo o Berlino, che si unisce al coro maschile – l’unico sodalizio ancora attivo nel villaggio – nel tentativo di conoscere altri abitanti. Ma il coro, composto principalmente di pensionati, è in crisi: ad eccezione di Baumann, non riesce ad attirare nuovi membri.

Ciò non sorprende Martin Schuler, professore di pianificazione urbana e regionale presso il Politecnico federale di Losanna (EPFL). I club locali e le associazioni tradizionali che una volta riunivano gli abitanti dei villaggi oggigiorno dipendono in gran parte dagli anziani. Molti sodalizi sono scomparsi per mancanza di interesse: i giovani del posto si sono trasferiti verso le città, mentre le persone provenienti da fuori che hanno scelto luoghi come Suberg come dimora hanno altre priorità, spiega il professore.

“I nuovi arrivati sono lì per la loro casa”, dice Schuler. “Per alcuni di loro, la vita locale non è un aspetto di attrazione”.

Quel che cercano i nuovi abitanti è la comodità. I villaggi che si trovano in prossimità di grandi centri urbani consentono alle famiglie di disporre di grandi case ad un prezzo ragionevole, senza dover compiere un tragitto troppo lungo per recarsi al lavoro in città. Per esempio, Suberg dista solo una ventina di minuti in treno sia da Berna sia da Bienne.

Il professore del Politecnico aggiunge che anche nei villaggi dove la popolazione è aumentata, negli ultimi dieci anni sono stati progressivamente soppressi servizi locali di piccole dimensioni, come l’ufficio postale o la scuola, in favore di strutture più grandi destinate a un’intera regione. Secondo Schuler, ciò ha probabilmente ulteriormente contribuito alla perdita di un senso di comunità.

Il club sportivo che integra e unisce

Proprio come a Suberg, nel villaggio friburghese di Avry, che oggi conta circa 1’800 abitanti, qualche decennio fa le fattorie hanno lasciato il posto a case unifamiliari, i cui proprietari in maggioranza lavorano al di fuori del comune. Ma secondo Marc Antoine Messer, un ricercatore di pianificazione del territorio presso il Politecnico di Losanna che abita ad Avry, nel suo villaggio c’è una differenza fondamentale: “i club e le associazioni qui sono molto attivi”.

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Fondato appena nove anni fa, il club di unihockey da solo ha circa 200 membri attivi. Il suo presidente Michel Müller lo ha lanciato con due squadre di giovani giocatori. Da allora il sodalizio sportivo si è progressivamente esteso fino ad includere tutte le categorie di età, dai bambini agli adulti. Müller, che è cresciuto in Vallese e lavora a Berna, ritiene che il club abbia anche aiutato lui e la sua famiglia a integrarsi in un villaggio che è diventato un paese di pendolari.

“Eravamo abituati ad avere un ufficio postale, una stazione ferroviaria, anche un postino che aveva il tempo di fermarsi a parlare con noi”, ricorda Müller, che vive nel comune friburghese da una quindicina d’anni. “Qui siamo già fortunati perché abbiamo un complesso commerciale, ma non è la stessa cosa”.

Ad Avry non c’è alcun centro del villaggio e nemmeno un ristorante. Quindi il club serve da punto di incontro. Müller spiega di avere conosciuto tanta gente in questo modo. “I genitori viaggiano insieme quando i ragazzi partecipano ai tornei”, spiega. “Ciò offre loro un’occasione d’incontro diversa da quella della scuola dei loro figli”.

Identità locale

Secondo Marc Antoine Messer, per mantenere un senso di comunità può anche bastare la volontà di un singolo abitante di creare e animare attività familiari nel villaggio. Ma la tendenza generale è una diminuzione dell’impegno associativo della gente.

“Siamo passati da un ruolo attivo a un ruolo di cliente”, dice il ricercatore del Politecnico, aggiungendo che la gente è più incline ad aderire a club esistenti, anche se deve recarsi fuori dal villaggio per trovarli, piuttosto che crearne di nuovi.

“La gente non si identifica più con il proprio villaggio”, gli fa eco Kathrin Gschwend, rilevando che Suberg non ha attrazioni culturali da offrire ai suoi residenti. “E se non ti identifichi con il tuo villaggio, non sarai coinvolto”.

A suo avviso, l’iniziativa personale può fare la differenza. In una lettera inviata a lei e a Simon Baumann dopo aver visto il loro film, un abitante del vicino villaggio di Ziegelried ha spiegato loro come i residenti stessi organizzano delle feste quattro volte l’anno.

Per scuotere il suo paese natale, Baumann ha in mente idee simili. Le autorità comunali lo hanno invitato a far parte del comitato culturale e di quello sportivo. Così ora lui progetta di collaborare con essi per creare attività come un cinema all’aperto per fare in modo che la gente del posto stia insieme. Il suo film ha fatto riflettere i suoi concittadini. Perciò lui è ottimista: crede che le cose a Suberg stiano per migliorare.

Dopo tutto, dice Kathrin Gschwend, “non è bello vivere in luoghi morti”.

Piccoli comuni che si trovano in prossimità di grandi centri urbani hanno attirato nuovi abitanti almeno dagli anni ’70, l’ampia diffusione dell’auto e migliori infrastrutture di trasporto hanno consentito a coloro che volevano spazi abitativi più grandi e più sicuri di lasciare le città, mantenendo al contempo un tragitto ancora un relativamente breve per andare al lavoro.

“È stato un periodo di forte costruzione di piccole case [fuori delle città] da parte della classe media”, spiega Martin Schuler, professore di pianificazione urbana e regionale al Politecnico federale di Losanna.

Mentre venivano costruite ville e strade moderne, i terreni agricoli scomparivano ad una velocità di circa 1 m2 al secondo. Ad esempio, nel suo periodo di massimo splendore, Suberg sul proprio territorio contava 14 aziende agricole. Oggi ce ne sono solo due.

Questo cambiamento non è avvenuto unicamente in Svizzera, ma nella Confederazione si è verificato un paio di decenni dopo, rispetto ad altri paesi industrializzati, come gli Stati Uniti, precisa il ricercatore del Politecnico di Losanna Marc Antoine Messer.

Con l’esodo delle famiglie della classe media verso la campagna, le città hanno perso una parte significativa della loro popolazione. Tuttavia, per la prima volta dagli anni ’60, adesso nelle città svizzere stanno cominciando ad aumentare gli abitanti.

Comunque, secondo le cifre dell’Ufficio federale di statistica (UST) e dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE), nel 2005, in Svizzera circa il 63% delle persone che esercitavano un’attività professionale aveva il posto di lavoro al di fuori del comune di residenza.

(Traduzione e adattamento dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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