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Sommersi nel fango i pakistani attendono gli aiuti

Come Asim Alam, molti pakistani continuano a cercare nell'acqua e nel fango ciò che rimane della loro casa Jules Motte

Le inondazioni che hanno colpito il Pakistan hanno lasciato oltre 6 milioni di persone senza tetto. Mentre la comunità internazionale stenta a riunire i fondi richiesti dall'ONU, le vittime delle alluvioni vivono in condizioni disperate, in attesa di aiuti. Testimonianze dalla regione.

Una pila di vecchie cassette audio, braccialetti, due manciate di grano bagnato depositati su una coperta melmosa. È quanto Asim Alam è riuscito ad estrarre finora dall’acqua e dal fango nel luogo in cui, fino a pochi giorni fa, si ergeva la sua casa nel villaggio di Pashtoon Garhi. Suo cugino Tahseenulah ha ritrovato due travi di legno che sostenevano il tetto: serviranno a ricostruire una nuova abitazione.

Nella casa vivevano i 19 membri della famigli Alam. “Era l’una della notte. Mia moglie ha udito il rumore del torrente in piena e mi ha svegliato. Siamo immediatamente usciti di casa con i bambini. Ho tentato di ritornarvi per raccogliere alcune cose, ma l’acqua arrivava già al mio collo. La casa è crollata davanti ai miei occhi”, ricorda Asim.

Il villaggio di Pashtoon Garhi, a due ore di strada da Islamabad, è stato fortunato: tutti gli abitanti hanno potuto mettersi in salvo. Ma tutte le capanne sono andate distrutte, i campi sono stati devastati, i raccolti persi e il bestiame decimato. I contadini non sanno come potranno passare l’inverno.

“Ajmal ed io possedevamo 15 mucche”, si lamenta Tahseenulah. “Vendendo il latte riuscivamo a far vivere le nostre donne e i nostri bambini. Ma ora 13 mucche sono morte, annegate. È una catastrofe!”.

Solidarietà famigliare

Nel centro di quello che era il villaggio, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) e un’associazione pakistana stanno organizzando la distribuzione di tende e materiale da cucina. Decine di padri di famiglia si accalcano all’entrata della scuola, impiegata per le attività di soccorso.

Non vi saranno tende a sufficienza per tutti. “Distribuiranno soltanto 75 tende, mentre nel nostro villaggio vivono più di 6000 persone”, dice un abitante. Pashtoon Garhi è uno degli ultimi villaggi a ricevere aiuti in questa zona, ammette Mueed Kahn, coordinatore locale dei soccorsi: “Qui vivono soltanto dei contadini. Non vi sono politici o persone importanti in grado di attirare l’attenzione e maggiori aiuti”.

Mentre la folla si ammassa attorno ai camion venuti dalla capitale, alcuni abitanti continuano a frugare tra le vestigia delle loro case. “Gli organizzatori controllano l’identità delle persone che chiedono aiuti, per evitare di distribuire due volte il materiale alla stessa famiglia. E noi non abbiamo più nessun documento d’identità, il fango ha seppellito ogni cosa e quindi non riceviamo niente”, spiega Ayoub.

Come molti altri abitanti del villaggio, Ayoub e la sua famiglia hanno trovato rifugio presso parenti e amici che vivono nelle vicinanze. Più che gli aiuti del governo e delle organizzazioni umanitarie è soprattutto la solidarietà delle famiglie e dei clan che permette alle persone senza tetto di sopravvivere.

Evento eccezionale

“Queste inondazioni sono un fatto eccezionale, era da almeno 80 anni che i pakistani non vivevano più qualcosa di simile”, osserva Jean-Marc Favre, coordinatore dei soccorsi per le vittime delle inondazioni presso il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) in Pakistan.

“Rispetto all’India o al Bangladesh, dove forti inondazioni sono piuttosto frequenti, qui una o due generazioni hanno vissuto senza conoscere gravi cataclismi. Nella società non vi è quindi nessun meccanismo per fronteggiare questa situazione”, aggiunge Favre.

Tre settimane dopo l’inizio delle inondazioni, il sud del paese si ritrova ancora sommerso. L’acqua ha cominciato a ritirarsi nelle regioni più a nord, che erano state colpite per prime. Il Pakistan si ritrova però ora confrontato ad una grave crisi sanitaria, dal momento che i pozzi e le fonti di acqua potabile sono stati contaminati. Fiumi e torrenti hanno portato con sé escrementi, prodotti chimici, carcasse di animali morti e batteri tossici che provocano dissenterie mortali e malattie come il colera.

Frustrante attesa

Nel Villaggio di Ishoghi, gli abitanti hanno subito capito che non bisognava più bere l’acqua dei pozzi: una delle poche mucche sopravvissute alle alluvioni era morta dopo essersi abbeverata con quest’acqua. “Abbiamo tolto il secchio per evitare nuovi incidenti”, indica Ghulam Azrat, capo del villaggio. “Ma ora non abbiamo più abbastanza acqua potabile. Dipendiamo dai rifornimenti delle organizzazioni umanitarie e non sappiamo mai quando passano dalle nostre parti”.

Scoprire nuove fonti di acqua potabile e ripulire le cisterne sono diventati due dei compiti più urgenti assunti dal CICR e dalla Mezzaluna rossa in Pakistan. Un lavoro che richiederà ancora molto tempo: le squadre di soccorso sono riuscite a decontaminare soltanto quattro pozzi in due giorni, quando centinaia di chilometri quadrati sono stati colpiti dalle alluvioni. L’acqua che ricopre le regioni del Punjab e del Sindh potrebbe rifluire soltanto tra alcune settimane.

Una situazione difficile da accettare per Jean-Marc Favre: “Tra le cose più terribili in caso di inondazioni vi è il fatto che si può fare ben poco fino a quando l’acqua si è ritirata. Sappiamo che vi sono popolazioni isolate, senza cibo, né acqua potabile, né cure mediche. Ma dobbiamo attendere fino a quando le vie di accesso saranno nuovamente praticabili. Bisogna aspettare ed essere pazienti. È frustrante”.

Clémentine Mercier, Pakistan, swissinfo.ch
(traduzione Armando Mombelli)

Le alluvioni in Pakistan, iniziate il 28 luglio, hanno devastato una zona quattro volte più grande della Svizzera, in cui vivono oltre 15 milioni di persone.

Almeno 6 milioni di persone sono state direttamente colpite dalle inondazioni e necessitano di aiuti immediati, sia medici che alimentari.

Il bilancio ufficiale delle autorità pakistane è attualmente di 1’600 morti e di 4 milioni di senza tetto. Circa 1,2 milioni di case sono state distrutte.

Le Nazioni unite hanno lanciato un appello alla comunità internazionale per raccogliere almeno 460 milioni di dollari di aiuti. Finora soltanto il 60% di questo importo è stato promesso dai paesi donatori e dalle organizzazioni internazionali.

In occasione della giornata nazionale di colletta per le vittime delle inondazioni in Asia, organizzata il 18 agosto, la Catena della solidarietà ha raccolto oltre 13 milioni di franchi in promesse di doni.

Aggiungendo 3,1 milioni di franchi già versati dall’inizio di agosto sul conto postale della Catena della Solidarietà, il totale della somma raccolta ammonta a 16,1 milioni di franchi.

Per ora, le donazioni serviranno a finanziare i progetti urgenti condotti da otto organizzazioni partner della Catena della Solidarietà. In una seconda fase saranno realizzati progetti di ricostruzione e di riabilitazione.

La raccolta fondi prosegue. E’ sempre possibile effettuare donazioni sul conto postale 10-15000-6 con l’annotazione «Inondazioni Asia».

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