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Sulle tracce di Barbablù

La storia di Barbablù ha alimentato per secoli la fantasia di grandi e piccoli

Il museo Strauhof di Zurigo punta l'obiettivo sul truce Barbablù: partendo dalla favola di Perrault, la mostra lo segue nella musica, nel teatro, nella danza e nella letteratura degli ultimi 300 anni.

Chi di noi non ha avuto, almeno una volta nella propria infanzia, l’occasione di ascoltare la storia del terribile Barbablù, il fosco individuo dalla barba blu che con la sua favolosa ricchezza riesce ad ammaliare e sposare donne molto più giovani, che poi regolarmente uccide.

La mostra in corso al Museo letterario di Zurigo si mette sulle tracce di questo ombroso protagonista – l’annientatore per eccellenza – catapultando il visitatore direttamente nella fiaba. Il castello di cartone ricostruito nella prima sala ci trasforma in personaggi attivi.

Qui, attraverso alcune postazioni sonore, riviviamo i momenti più salienti del racconto. La presentazione di Barbablù, la domanda di matrimonio, il divieto alla moglie di entrare in quell’unica stanza – dove siamo noi stessi costretti a passare per conoscere il seguito della storia -, la scoperta della chiave macchiata di sangue, la promessa di morte, la dilazione del castigo, la reiterata richiesta alla sorella che guarda dalla torre – “Anna, sorella mia, vedi arrivare nessuno?” -, l’arrivo dei fratelli e infine, come in ogni favola, la salvezza del giusto.

Perrault e il suo contesto storico

La fiaba narrata è quella scritta dal francese Charles Perrault, pubblicata per la prima volta nel 1697 nella raccolta “Histoires ou Contes du temps passé” (Racconti e storie del passato), nota anche come “Contes de ma mère l’Oye” (I racconti di Mamma Oca).

“Ho voluto iniziare con Perrault perché, in un certo senso, il Barbablù di Perrault rappresenta un punto di partenza”, spiega la curatrice Susanne Feldmann. “Inoltre la scelta è dettata da ragioni pratiche, dalla necessità di mettere dei limiti, visto che lo spazio a disposizione è limitato. E poi anche perché rispecchia il mio interesse personale, che è rivolto piuttosto alla storia che segue che non a quella che precede la fiaba.”

Uscita nel bel mezzo della “querelle” che opponeva i sostenitori della letteratura antica a coloro che si battevano per una letteratura capace di interpretare l’epoca contemporanea, la raccolta di Perrault diventa famosa e lancia un nuovo genere letterario.

La fiaba è presto di moda e si rivela un ambito letterario prediletto dalle scrittrici e dalle donne che frequentano in gran numero i salotti della corte di Luigi XIV e prendono parte diretta alla “querelle des Anciens et des Modernes”.

La fortuna di Barbablù

Noto inizialmente solo alla nobiltà francese o a chi leggeva correttamente la lingua di Perrault, il Barbablù raggiunge un pubblico più vasto grazie alla traduzione in inglese (1729) e in tedesco (1770) e, nel 19° secolo, alla larga diffusione del racconto illustrato.

Nel corso del tempo gli adattamenti si susseguono ma si somigliano sempre di meno e i riferimenti al personaggio di Barbablù in altre opere d’arte e contesti – come le trasposizioni in opere liriche, teatrali, cinematografiche e musicali – diventano sempre più numerosi.

“Quello che presentiamo è un Barbablù assai composito – spiega Susanne Feldmann – perché nel corso di più di 300 anni la sua immagine ha subito molte trasformazioni. All’inizio il suo cuore è più duro della pietra e alla fine abbiamo il Barbablù che in modo molto autocritico si chiede: che cos’è che forse ho sbagliato, in che cosa consiste la mia colpa?”

Il conflitto tra i sessi

Dalla comparazione delle diverse opere emerge subito la chiave di lettura scelta dall’esposizione che – spiega Susanne Feldmann – “ha messo l’accento su come nella storia di Barbablù si rifletta il conflitto tra i sessi. Nella mostra questo aspetto è un filo rosso che attraversa tutte le epoche. Ciò che cerchiamo è di evidenziare come il rapporto tra i sessi si rispecchia nella rappresentazione di Barbablù e della sua ultima moglie.”

Ogni adattamento dell’immagine di Barbablù riflette in modo diretto i cambiamenti dell’epoca e del contesto sociale, culturale e politico in cui viene raccontato. “Nelle fiabe e nei racconti del 19° secolo il rapporto tra i sessi è molto presente”, precisa Susanne Feldmann. “Ad esempio la donna viene rappresentata come moralmente inaffidabile mentre l’uomo, sebbene risulti molto più severo, è un amorevole padre di famiglia che deve in un certo senso punire la disobbedienza della donna.”

L’immagine della donna fatale che rimandano gli adattamenti del 1900, sembra essere invece il risultato di un’espressione della fantasia collettiva maschile in crisi. Ne è un esempio “il Castello di Barbablù”, l’opera del compositore ungherese Béla Bartok, su libretto di Béla Balázs. Al contrario, i motivi che richiamano a Barbablù nei lavori di prosa di Ingeborg Bachmann degli anni ’70 e l’adattamento coreografico di Pina Bausch del ’77 veicolano un chiaro messaggio di emancipazione femminile.

Tra le rielaborazioni successive c’è anche un racconto di Max Frisch (1982) che prendendo spunto dal caso di un orefice accusato di aver ucciso la moglie e poi assolto per mancanza di prove, propone l’immagine di un Barbablù più vittima che criminale.

swissinfo, Paola Beltrame, Zurigo

Le 11 fiabe della raccolta “Histoires ou Contes du temps passé” (di cui fanno parte anche Pollicino, Il Gatto con gli stivali, Cappuccetto Rosso e Cenerentola) sono, in parte, trascrizioni di storie popolari della tradizione orale, ma non è dato sapere quale di esse abbia realmente influenzato Perrault nella stesura del suo Barbablù.

Il contenuto della fiaba sembra prendere origini da una leggenda risalente al 6° secolo nella quale un nobile bretone tagliava il collo alle mogli non appena queste rimanevano gravide.

Il modello storico invece, potrebbe intrecciare le vicende di Gilles de Rais, il nobile e facoltoso luogotenente di Giovanna d’Arco condannato a morte nel 1440 perché accusato dell’uccisione di centinaia di ragazzini con la storia del re inglese Enrico VIII Tudor e delle sue 6 mogli.

Nella mostra però, non è stato dato, volutamente, alcuno spazio alle figure storiche che potrebbero aver ispirato la nascita del personaggio letterario di Barbablù.

“Barbablù. Sulle tracce di un serial killer letterario” rimarrà aperta al museo Strauhof di Zurigo fino al 7 settembre.

La mostra, che focalizza l’attenzione soprattutto su materiali di lingua tedesca, termina con una curiosa video-installazione a lieto fine di François Chalet (“Barbe bleue”, 2005) con musiche di Mathias Vetter.

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