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Svizzera in prima linea ad Aceh

Operatori umanitari svizzeri trasportano farmaci per i voli di soccorso Keystone

L'aiuto umanitario svizzero per le vittime del maremoto è molto presente nella provincia indonesiana di Aceh, dove ribelli e governo si fronteggiano.

Flebile, ma non del tutto morta, la speranza che la catastrofe naturale possa favorire la riconciliazione tra il governo centrale e i ribelli del Gam, in guerra da 30 anni.

L’agenzia governativa per l’aiuto allo sviluppo elvetica, la DSC, è presente in molti paesi colpiti dal maremoto del 26 dicembre, ma straordinario è il suo impegno nella provincia indonesiana di Aceh, dove ha già investito 12 milioni di franchi.

“All’inizio abbiamo provveduto soprattutto a rendere potabile l’acqua”, spiega Andrea Stauffer, portavoce della DSC. Poi nelle prime due settimane di gennaio, l’agenzia umanitaria governativa, ha trasportato con dei voli charter 160 tonnellate di materiale all’aeroporto di Medan. Tende per gli sfollati, generatori, equipaggiamento per ospedali.

“Ora abbiamo anche due esperti sul posto che si occupano del programma Cash-for-Shelter,” aggiunge Stauffer. Si tratta di fornire un aiuto finanziario diretto alle famiglie per la ricostruzione della propria casa.

A questo fine, verranno distribuiti circa 2 milioni di franchi. “Non siamo in grado di dire esattamente qual è la somma per ogni persona. Comunque riceve soldi anche chi una casa ce l’ha, ma ospita dei parenti”.

La DSC coordina in loco, tra l’altro, l’azione del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA), in tutto una quarantina di persone. Inoltre a Medan ci sono i militari che operano i tre elicotteri Super-Puma messi a disposizione dalla Svizzera.

Gas naturale e petrolio

Ultimamente isolata dagli occhi del mondo, la guerra in Aceh è balzata nuovamente all’attenzione dei media occidentali dopo lo Tsunami. Le autorità indonesiane hanno avvertito giornalisti e operatori umanitari che correvano seri pericoli, se cercavano di muoversi senza la “protezione” dell’esercito nelle zone controllate dai ribelli.

L’Aceh è una provincia chiave per l’Indonesia, per il gas naturale e il petrolio: ricchezze che stanno alla radice del conflitto che dal 1976 ha fatto più di 12 mila vittime.

Nemmeno un maremoto che ne ha provocate ora più di 160mila ha però fermato i combattimenti. Fino a pochi giorni fa le autorità di Giacarta non volevano nemmeno sentir parlare di colloqui con i guerriglieri del Gam.

“The Killing Fields”

Nell’opinione pubblica occidentale si ha l’impressione che la guerra in Aceh sia di puro stampo religioso ed ideologico, visto che i ribelli sono islamici. In realtà ci sono voluti anni di repressione delle voci di dissenso più moderate, prima che ad Aceh si facesse viva agli inizi degli anni ’80 la guerriglia islamica.

Con gas naturale e petrolio, Aceh contribuiva sostanzialmente alla ricchezza dell’Indonesia, ma ne riceveva in cambio una parte molto esigua. Gli acehniesi, che Suharto chiamava “pericolosi secessionisti”, all’inizio non volevano l’indipendenza, ma semplicemente una distribuzione più equa del reddito nazionale: Aceh, seduta su ricchezze immense, restava una delle province più povere del Paese.

Solo dopo la caduta di Suharto, nel 1998, è emersa in tutta la sua ampiezza la reale portata della repressione perpetrata dal dittatore contro gli abitanti della regione: furono ritrovate fosse comuni e si parlò apertamente di sterminio.

Per riparare ai torti del passato, il presidente salito in carica dopo Suharto, Abdurrahman Wahid, concesse uno statuto speciale ad Aceh, e la libertà di emanare leggi ispirate alla legge coranica.

L’accordo di pace di Ginevra

Nel 2002 si arrivò addirittura ad un accordo di pace, firmato a Ginevra tra il governo indonesiano e i ribelli armati del Gam, grazie alla mediazione del Centre for Humanitarian Dialogue Henri Dunant (HD Centre).

Ma le armi non furono deposte. Già nel 2003 veniva lanciata un’imponente azione militare e dichiarato lo stato d’emergenza. Da allora l’accesso ai giornalisti e agli osservatori indipendenti è diventato sempre più difficile. Anche i mediatori del centro Henri Dunant, hanno dovuto lasciare Aceh.

Nessun’altra Ong è più coinvolta nel ruolo di pacificatore per Aceh. Nonostante il fallimento del trattato di pace del 2002, resta il suo più importante progetto di risoluzione dei conflitti:

“Siamo sempre rimasti in contatto con entrambe le parti”, ammette Andrew Andrea del Centre H.D., che non vuole però rilasciare nessuna altra dichiarazione sulla situazione attuale in Aceh. È chiaro che qualcosa si sta muovendo, ma è ancora presto per parlarne.

Riconciliazione: una parola di nuovo in uso

Se fino a pochi giorni fa il governo indonesiano considerava ogni trattativa con il Gam irrealistica, il ministro degli esteri indonesiano, Hassan Wirajuda, ha dichiarato mercoledì 19 che verranno fatti tutti gli sforzi necessari per una pacificazione con i ribelli.

Altro segnale positivo, da qualche giorno l’Onu ha tolto lo stato di allerta per i suoi operatori in Aceh, e il Gam ha fatto sapere di non voler in nessun modo intralciare gli aiuti umanitari.

«Non c’è altra via per la stabilità e la sicurezza. Vogliamo la riconciliazione, e facciamo sul serio », ha detto il ministro indonesiano, ventilando l’eventualità di un incontro con i ribelli verso la fine del mese.

Parole incoraggianti, anche per gli operatori umanitari di stanza ad Aceh, che per ora non corrono rischi comparabili a quelli cui sono esposti in Iraq.

swissinfo, Raffaella Rossello

La sicurezza del personale umanitario che opera in Aceh non è stata per ora minacciata dalla guerra che da 30 anni oppone il governo indonesiano ai separatisti del Gam.

Nonostante un cessate il fuoco informale, l’esercito indonesiano nelle ultime due settimane ha ucciso almeno 120 ribelli.

Sul fronte degli aiuti, sono impregnati con navi, aerei ed elicotteri anche molti militari stranieri, tra cui in maggioranza americani, ma anche australiani, malesi, svizzeri.

La provincia indonesiana di Aceh, con più di 125 mila vittime e mezzo milione di sfollati, è la regione più duramente colpita dallo Tsunami dello scorso dicembre.
160 tonnellate di materiale sono state già trasportate dalla Svizzera a Medan con voli charter.
La Catena della solidarietà ha raccolto finora 185 milioni di franchi per le vittime del maremoto.

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