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Svizzera-Italia, una frontiera in bilico

Libera circolazione fra Italia e Svizzera: opportunità o pericolo? Keystone

L'entrata in vigore della seconda fase degli accordi bilaterali, il primo giugno, che sopprime le residue limitazioni alla libera circolazione delle persone, potrebbe mutare radicalmente i rapporti interni alla cosiddetta Regio insubrica.

Caratteristica di questa regione, che comprende il canton Ticino e le province italiane Verbano-Cusio-Ossola, Como e Varese, è appunto quella di essere una regione solcata dal confine italo-svizzero.

Storicamente, la frontiera ha diviso, ma ha pure fatto da filtro per regolare contatti e scambi. Considerando i timori manifestatisi in Ticino verso gli accordi bilaterali e la libera circolazione delle persone, si può affermare che la frontiera è stata anche una barriera protettiva contro una concorrenza troppo agguerrita.

Già al tempo dei baliaggi, tra il XVI e il XVIII secolo, la regione era teatro di scambi complessi, determinati dalle diverse appartenenze statali. Gli abitanti dei distretti ticinesi trovavano importanti sbocchi per attività artigianali e commerciali in Lombardia e in Piemonte, svolgendovi con successo diversi mestieri: artisti e costruttori, ma anche osti, facchini, bottegai, cioccolatieri, spazzacamini.

In un sistema nel quale né le persone, né tanto meno le merci, circolavano liberamente, la regione era oggetto di scambi essenziali per le comunità. Dalla zona alpina si esportava verso la Lombardia bestiame, prodotti caseari e cuoio; a Bellinzona e Lugano si tenevano importanti fiere che attiravano gli allevatori della Svizzera interna e i commercianti del Milanese.

Borghi e vallate ticinesi, ma anche taluni cantoni d’oltralpe, dovevano importare cereali e farine, nonché il sale; per garantirsi tali approvvigionamenti, era necessario negoziare accordi e privilegi commerciali con gli Stati e le città italiane. Essenziali per queste importazioni erano le vie d’acqua, in particolare il Verbano; in senso inverso transitavano enormi quantità di legname proveniente dalle vallate alpine.

Il contrabbando

L’esistenza della frontiera ha alimentato il contrabbando di merci sottoposte a tasse, monopoli o divieti. Nel 1810 Napoleone fece occupare il Ticino e minacciò di smembrarlo, per far cessare l’introduzione illegale di prodotti inglesi, sui quali vigeva l’embargo. Il contrabbando rimase una risorsa economica importante per le zone di confine, fino a pochi decenni fa, quando gli spalloni che trasportavano riso, sigarette, olio, caffè, ecc., furono sostituiti dai trafficanti di droga e dai convogliatori di capitali in fuga.

Per quanto riguarda la circolazione delle persone, le cose cambiarono radicalmente a metà Ottocento. Nel 1853 il governo austriaco espulse circa 6000 ticinesi dal Lombardo-Veneto, per rappresaglia contro l’allontanamento dal Ticino di alcuni cappuccini lombardi invisi al governo radicale. La frontiera rimase bloccata per quasi due anni.

Le grandi opere ferroviarie

Il flusso migratorio mutò direzione nei decenni seguenti, quando iniziarono in Ticino i grandi lavori ferroviari, in particolare il traforo del S. Gottardo (1872-1882). Migliaia di operai italiani, soprattutto piemontesi e veneti, trovarono lavoro sui cantieri ferroviari, e in seguito nelle cave di granito.

Già nel XIX secolo esisteva una scala salariale decrescente tra la Confederazione, il Ticino e l’Italia; ma allora, a differenza di oggi, molti ticinesi trovavano lavoro emigrando in massa oltre Gottardo. Dopo il 1945, lo statuto di frontaliere ha consentito alle aziende insediatesi in Ticino di procurarsi manodopera a costi salariali ridotti, ma limitatamente ai settori nei quali i frontalieri non entravano in concorrenza con i lavoratori residenti.

La frontiera quale protezione

Si è talvolta preteso che il “naturale” inserimento dell’economia ticinese in quella lombarda sia stato ostacolato dal confine politico e dalle barriere doganali. Ma la frontiera ha piuttosto protetto il Cantone dalla concorrenza di un’economia più potente e dinamica e di una manodopera a miglior mercato. Non per niente, l’idea avanzata negli anni 1920-1930 di trasformare il cantone in zona franca, spostando la barriera doganale al Gottardo, era di marca nettamente irredentista.

Il processo d’unificazione europeo, al quale la Svizzera ha dovuto adattarsi pur non aderendo all’UE, ha ridimensionato la “regione aperta”, concetto attraverso il quale il Ticino aveva voluto promuovere, alcuni decenni fa, le proprie ambizioni transfrontaliere. Infatti, il Ticino è stato l’unica zona di frontiera che abbia respinto gli accordi bilaterali, temendo soprattutto la libera circolazione delle persone. Il Ticino avrebbe voluto continuare i “giochi con frontiere”.

swissinfo, Marco Marcacci

Il canton Ticino e le province italiane Verbano-Cusio-Ossola, Como e Varese compongono la Regione insubrica, una zona solcata dal confine italo-svizzero. L’entrata in vigore della libera circolazione delle persone comporta delle incognite che potranno essere valutate soltanto con il tempo.

Questa regione è da secoli luogo di scambi e traffici intensi fra nord e sud. Il confine ha a lungo protetto il Ticino dalla concorrenza dell’economia delle regioni di frontiera italiane, più concorrenziali e dinamiche.

D’altronde, il Ticino è stato l’unica zona di frontiera a respingere gli accordi bilaterali, che sanciscono, appunto, la libera circolazione delle persone.

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