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Svizzeri a Milano: risollevarsi dalla pandemia con la Festa nazionale

due uomini e una donna
La svizzera Sofia Brenni (qui col marito, a sinistra, e un amico) si è trasferita a Milano nel 2018. Michele Novaga

È una Festa nazionale del 1° agosto carica di speranze ed emozioni quella che hanno celebrato i membri della comunità svizzera di Milano, una delle più numerose all’estero. Dopo la pausa forzata dello scorso anno, sono tornati a festeggiare insieme la ricorrenza più importante.

Alle tavole imbandite e rinominate con i nomi dei calciatori della nazionale svizzera con tanto di figurina plastificata in formato A4 a fare da segna-tavolo, c’è chi si emoziona per l’inno, chi si rivede dopo quasi due anni, chi vuole festeggiare a tutti i costi insieme ad altri compatrioti.

“Oggi si torna a celebrare una festa che l’anno scorso era saltata”, afferma Rolf Strotz, zurighese residente a Milano dal 1968 e membro della Società svizzera di Milano, organizzazione che riunisce circa 600 soci. “Bisognava avere il coraggio di ricominciare, non si può sempre rimandare. Se non facciamo dei preparativi degli eventi, se non ci orientiamo verso la normalità non riusciremo mai ad organizzare niente. Abbiamo usato tanto Zoom in questi mesi e andremo avanti così ancor per un po’. Però spero che a breve si arrivi alla normalità”.

uomo
Lo svizzero Rolf Strotz abita a Milano dal 1968. Michele Novaga

1° agosto di emozione e tradizione

Tra le persone sicuramente più emozionate e contente che abbiamo incontrato all’evento organizzato il 15 luglio al Centro svizzero di Milano c’è Sofia Brenni, ticinese trasferitasi nel capoluogo lombardo tre anni fa a seguito del matrimonio con un italiano. Suo bisnonno è stato console generale della Svizzera a Milano durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale.

“Dalle macerie del consolato – spiega a swissinfo.ch – tra le cose che riuscì a recuperare c’era anche un busto di Guglielmo Tell e una bandierina svizzera che mio bisnonno teneva sulla sua scrivania e che oggi in famiglia custodiamo e conserviamo gelosamente. Quindi per me è una grande emozione essere qui oggi a festeggiare il 1° agosto. L’anno scorso l’ho trascorso in casa, ma pure avendo indossato la maglietta con la croce svizzera ero in Italia. Oggi invece trovandomi qui nel Centro svizzero insieme a tanti connazionali mi sento in Svizzera pur essendo a Milano”.

Cantare l’inno elvetico, aggiunge la 30enne formatasi alla Bocconi ed ora impiegata nell’azienda di vernici di famiglia, “mi emoziona sempre molto e vedere mio marito italiano che lo segue e partecipa è una soddisfazione”.

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Sulla stessa lunghezza d’onda anche Irene Roncone, 21enne di Como, cittadina svizzera grazie alla mamma – trasferitasi in Italia dal Cantone di Neuchatel – e studentessa alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana di Lugano. “Noi il 1° agosto lo festeggiamo sempre perché la Svizzera nella nostra famiglia è sempre stata presente. E anche se fino all’età di 18 anni non avevo legami con la comunità svizzera in Italia, è bello essere qui in compagnia di tanti altri miei coetanei dell’Unione dei giovani svizzeri in Italia”.

Quei lockdown (forse) lasciati alle spalle

Alla base di tutto la consapevolezza che l’emergenza non è ancora finita e che la pandemia ha lasciato non solo dei segni, ma anche qualcosa di positivo da cui si può ripartire.

Ne è convinto Georges Stocker, anch’egli originario del Cantone di Zurigo, che vive a Milano da sei anni con la moglie e due figli e dove lavora come manager in una importante banca italiana. “La pandemia ci ha insegnato molte cose e tutti abbiamo imparato molto. La mia qualità di vita è cresciuta perché, lavorando da casa, avevo mia moglie e i due ragazzi solo per me. E in più mi sono evitato il tragitto quotidiano di due ore per andare e tornare dal lavoro. Con gli amici abbiamo fatto tante chiamate online. Paradossalmente mi sono sentito più vicino alle mie sorelle parlando loro al telefono non tre volte all’anno, come avveniva prima della pandemia, ma ogni domenica in videochiamata”.

Ovviamente, prosegue, le relazioni sociali dal vivo mancano e non si può comunicare solo via Internet. “Ma penso che nemmeno i nostri figli abbiano vissuto i lockdown così male: abbiamo cucinato tutti insieme e abbiamo fatto tante cose in famiglia”, racconta Stocker.

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Storie e situazioni diverse che alla fine hanno accomunato tutti. “Durante la pandemia sono rimasta a Milano e il fatto di non poter tornare in Svizzera è stato un momento di profonda solitudine. Proprio perché sono nata e cresciuta in Svizzera, in alcuni momenti mi sono domandata cosa facessi qua dove, a parte mio marito, non ho parenti o affetti”, racconta Sofia Brenni. “Durante la pandemia ho vissuto le notizie circolate qui, la traumaticità degli eventi di Bergamo, i bollettini di guerra alla fine di ogni giornata. Qualcosa di profondamente diverso rispetto ai miei parenti in Svizzera, i quali sembravano vivere un’altra pandemia. Io alla fine l’ho vissuta da italiana però ne siamo usciti fortificati”.

Tre mesi lontano dalla famiglia

Chi invece ha trascorso il confinamento in Svizzera lontano dalla famiglia, rimasta a Milano, è Gianluca Wiedmar. “Lavoro come macchinista in Ticino, ma sono un frontaliere che ogni mattina da Milano si sposta a Bellinzona per poi tornare da mia moglie e mio figlio la sera. Durante il lockdown, sia per questioni lavorative ma anche per evitare spostamenti continui, sono stato da solo cento giorni nella casa di famiglia in Ticino senza poter vedere la mia famiglia con cui comunque ci sentivamo quotidianamente via internet”.

Ora, aggiunge il 58enne originario di Basilea, “spero si ricominci a vivere anche se sono preoccupato perché a livello sociale abbiamo perso molto: le persone non si toccano più, mantengono le distanze. Mi aspetto una ripresa dell’economia molto lenta, ma è difficile fare previsioni fino a quando questa situazione non si sarà stabilizzata”.

sala con gente seduta a tavola
Il 1° agosto della comunità elvetica di Milano è stato celebrato al Centro svizzero. Michele Novaga

Fiducia nel futuro

Non manca comunque un certo ottimismo verso il futuro. Soprattutto da parte dei più giovani.

“La pandemia ci ha aiutato a fare smart-working e a informatizzare il sistema, ma dal punto relazionale non è cambiato molto”, spiega Chloè Charmillot, 25enne del Canton Giura trasferitasi ad inizio anno a Milano per frequentare un Master in sostenibilità alla Bocconi.

“Certo – aggiunge – è mancato fare le cose insieme: non è la stessa cosa un aperitivo online e uno dal vivo o avere una conversazione solo via Internet e non in presenza. Ma secondo me questa pandemia ci ha anche fatto capire che non possiamo più vivere come prima: si deve investire in un nuovo modello con energie rinnovabili, nuove modalità di trasporto meno inquinanti. Esiste una correlazione tra pandemia e questioni ambientali e vedo positivamente il fatto che la gente in Italia, in Svizzera e anche altrove si stia accorgendo di questo e che cominci ad agire di conseguenza”.

Un ottimismo che passa anche dalla possibilità di tornare a rivedersi e a condividere momenti collettivi come la festa del 1° agosto. “Questo stop dalla vita ci ha dato un’opportunità di riflettere cosa migliorare sia di noi che di tutto il resto. Abbiamo fatto quello che dovevamo restando a casa e osservando tutte le regole sul distanziamento sociale e sui dispositivi, ci siamo vaccinati e siamo stati pronti a ripartire. Questo 1° agosto lo interpreto come la forza di resistere nell’adattarsi: percepisco un’aria di positività, sento un miglioramento nell’animo di tutti e prevedo un futuro roseo”, conclude Irene Roncone.

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