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Tornano nella loro terra 129 anni dopo

I cinque indios furono esibiti in tournée in Europa come "fenomeni da baraccone". PD

Il Cile ha recentemente accolto i resti di cinque indigeni dell'etnia Kawésqar rimpatriati dalla Svizzera: gli indios erano stati catturati nel 1881 da un uomo d'affari tedesco come “oggetti” da esibire in “giardini zoologici umani” di varie città europee.

Dopo 129 anni, i corpi di Henry, Lise, Grethe, Piskouna e Capitano – battezzati così dal loro rapitore – sono tornati definitivamente in patria. Sono stati accolti in Cile con tutti gli onori militari e sepolti sull’isola da cui erano stati strappati alla fine del XIX secolo.

I resti dei cinque indigeni, appartenenti a un gruppo quasi estinto in Patagonia, nel sud del Cile, sono stati rimpatriati dalla Svizzera dove erano conservati presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Zurigo. Il documentarista Hans Mülchi e lo storico Christian Baez hanno trovato questi resti quasi due anni fa mentre giravano il documentario “Calafate, lo zoo umano”.

Morirono a Zurigo

Walter Fuchs, dottore in antropologia presso l’Università di Zurigo, spiega a swissinfo.ch che gli indiani erano arrivati a Zurigo come una delle destinazioni del macabro “zoo umano”.

“Questi spettacoli mostravano in Europa i nativi dell’Africa o della Patagonia come se fossero animali. In seguito, gli indigeni di etnia Kawésqar si fermarono, nel 1882, a Zurigo per viverci. Ma si ammalarono e, nonostante le cure prestate dai medici svizzeri, cinque di loro morirono di polmonite e morbillo. È per questo che i loro corpi sono stati custoditi presso la Facoltà di Antropologia, dove sono stati esaminati dagli scienziati”.

“Solo dopo furono scoperti nella grande collezione di scheletri che abbiamo all’università, un fatto abbastanza strano, perché la maggior parte di queste reliquie sono anonime. Molte di esse risalgono ai secoli XIX e XX. I resti dei kawésqar – afferma Fuchs- sono stati però identificati dettagliatamente, perché per la loro localizzazione erano stati assegnati dei numeri esatti”.

Le spoglie dei cinque indigeni sono state ufficialmente consegnate al console cileno nel corso di una cerimonia organizzata nell’ateneo zurighese, alla presenza del rettore Andreas Fischer e di una delegazione di cinque discendenti indigeni, rappresentati da Haydeé Aquila e Celina Llanllán. Alla cerimonia erano presenti anche gli antropologi Christoph Zollikofer e Marcia Ponce de Leon, che hanno appoggiato il rimpatrio dei resti a una precisa condizione: che il governo del Cile restituisca le reliquie ai discendenti dei kawésqar.

Cerimonie ufficiali

Le reliquie sono giunte finalmente in Cile a metà gennaio, all’aeroporto Arturo Merino Bénitez dove la delegazione indigena accompagnata dal professor Christoph Zollikofer, è stata accolta con gli onori militari. A presiedere la cerimonia ufficiale, la presidente cilena Michelle Bachelet.

Il viaggio è poi continuato in aereo verso Punta Arenas, località situata nella parte più meridionale del paese, dove le autorità e la comunità locali hanno accolto la delegazione. Ultima destinazione del periplo, l’isola Karukinká, nella Terra del Fuoco. “È stata scelta quest’isola – ha dichiarato Celina Llanllán, membro della comunità kawésqar al quotidiano cileno El Mercurio – perché è quella più vicina al punto in cui i nostri antenati sono stati rapiti”.

Il rito funebre, celebrato secondo una tradizione indigena, è stato strettamente riservato ai discendenti kawésqar. Durato circa tre ore, si è concluso quando i resti degli indios sono stati prima posti in ceste intrecciate di giunchi e poi collocati all’interno di una grotta.

Una fine crudele

I cinque indios furono rapiti nel 1881 nello stretto di Magellano, all’estremo sud del paese. Catturati insieme ad altri sei da Carl Hagenbeck, un famoso commerciante tedesco, furono poi esibiti nel corso di una tournée in Europa come “fenomeni da baraccone”.

I cinque indios dell’etnia kawésqar furono portati a Le Havre (Francia) e in seguito mostrati in varie città europee in uno spettacolo intitolato “I selvaggi delle isole della Terra del Fuoco”. Altre tappe di questo crudele spettacolo Berlino, Leipzig, Monaco, Stoccarda, Norimberga e infine Zurigo.

Il governo del Cile ha voluto rendere pubblico, in nome della nazione, un chiaro mea culpa per la complicità con la quale le autorità dell’epoca accompagnarono tali spedizioni. Gli indigeni vennero infatti prima cacciati e successivamente catturati nel 1881 dopo il via libera ufficiale del governo di Santiago.

Ivan Turmo, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento dallo spagnolo, Françoise Gehring)

I kawésqar o gli alacaluf vivevano dispersi in piccoli gruppi che percorrevano con le loro canoe i canali degli arcipelaghi localizzati tra il Golfo “de Penas” e la penisola di Brecknock. Di statura piccola, gli alacaluf vivevano nudi, e l’unico capo di abbigliamento era la pelle di leone marino o di lontra che veniva usata, legata intorno al collo, in modo da proteggere la schiena.

Eccezionale era la loro resistenza fisica, derivata apparentemente da un metabolismo più elevato, cioè da una temperatura media interna più alta che conferiva una migliore difesa contro il freddo.

Gli alacaluf erano figli delle acque e della nebbia, abitanti di un territorio marino inclemente e duro, di grandezza selvaggia che imponeva loro una mobilità permanente nella ricerca di risorse per l’esistenza.

La navigazione era così la risposta ad un requisito essenziale della loro vita nomade, tecnica che dominavano con maestria incomparabile utilizzando imbarcazioni precarie e fragili, ma adatte allo scopo.

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