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Politica nella diaspora turca: oltre le spiegazioni facili

Türkisches Stimmlokal in Bern
In Svizzera, solo il 38% dei turchi residenti ha votato a favore del referendum costituzionale. Keystone

Le recenti elezioni presidenziali in Turchia hanno fornito un quadro sull'orientamento politico di una diaspora europea divisa. Uno sguardo sui motivi e le strutture politiche dei turchi all'estero.

I cittadini turchi che vivono in Svizzera hanno respinto chiaramente il referendum costituzionale del 2017. Durante le recenti elezioni presidenziali, sono stati i candidati dei partiti di sinistra CHP e HDP a ottenere più voti rispetto al presidente Recep Tayyip Erdogan. In Germania è andata diversamente: sia il referendum che Erdogan sono stati ampiamente sostenuti dalla diaspora turca tedesca.

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È senza dubbio la presenza di un elevata quota di turchi di origine curda in Svizzera a spiegare i risultati al voto e alle elezioni così diverse rispetto alla Germania. Eppure, suddividere la diaspora in curdi e turchi oppure favorevoli e contrari allo schieramento di Erdogan non sarebbe sufficiente per illustrare il complesso quadro politico dei turchi all’estero.

Ogni diaspora è diversa

Contrariamente alla Germania, dove la maggior parte di turchi è arrivata a partire dal 1960 grazie all’accordo sul reclutamento di lavoratori stranieri, non vi sono dati comparabiliCollegamento esterno in Svizzera. Il numero di cittadini turchi è aumentato solamente a partire dagli anni ’80. I turchi che venivano in Svizzera non erano però spinti da motivi professionali ma soprattutto per richiedere l’asilo.

All’inizio furono soprattutto intellettuali e persone legate alla sinistra a rifugiarsi in Svizzera. Negli anni ’90 arrivarono poi soprattutto i curdi per lasciare il sud-est del paese a causa del crescente conflitto tra l’esercito turco e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Questi due episodi migratori hanno colpito sia la Germania sia la Svizzera.

Una polarizzazione percettibile

La società turca è oggigiorno sempre più divisa sia in Turchia che all’estero. Non emerge solo dai risultati delle elezioni e del referendum, ma anche dalle sempre più violente proteste in Turchia. Erdogan non è però l’unico leader politico che divide il paese.

Il politico bernese Hasim Sancar (Verdi), che ha lasciato la Turchia per emigrare in Svizzera nel 1982, ricorda che anche durante la legislazione del primo ministro Adnan Menderes (1950-1960) la società era fortemente divisa. Menderes aveva  promosso l’islamizzazione e fomentato la violenza contro i cittadini greci. Nel 1960 fu vittima di un colpo di stato militare, un modus operandi turco che purtroppo da allora è diventato tradizione.

In seguito, vi furono infatti altri tre colpi di stato militari (1971, 1980, 1997). Nel 2016 un tentativo di un quinto golpe fallì.

Staatsstreich: Panzer der türkischen Armee in auf dem Kizilay-Platz, Ankara, am 12. September 1980.
Carri armati dell’esercito turco sulla piazza Kizilay a Ankara 12 settembre 1980. Keystone

La svolta del 1980

Per la diaspora, fu soprattutto decisivo il caso del 1980. Al colpo di stato precedettero violenti scontri tra estremisti di destra e di sinistra e una serie di omicidi politici. L’esercito destituì l’allora primo ministro Süleyman Demirel spiegando di dover ristabilire l’ordine pubblico.

Secondo Sancar, il golpe militare è stato però in prima linea un intervento contro la sinistra. Come contrappeso ideologico, i generali del colpo di stato svilupparono la cosiddetta “sintesi turco-islamica” (vedi riquadro), che però divenne un problema anche per loro nel corso del tempo. L’esercito sosteneva infatti piuttosto una forma statale repubblicana secondo le idee di Kemal Ataturk. 

La rete di turchi in esilio si mobilita

Secondo Alexander Clarkson del King’s College di Londra, che ha studiato in modo approfondito la diaspora in Germania, il colpo di stato del 1980 è stato il catalizzatore di un senso di appartenenza tra i turchi tedeschi. Fino al 1980 non esistevano strutture ideologiche chiare e forti nella diaspora che era soprattutto composta da lavoratori. Dopo il golpe del 1980, la maggior parte dell’élite turca e degli intellettuali di sinistra è dovuta fuggire. Molti hanno trovato rifugio in Germania, ma anche in Svizzera. La nuova élite in esilio trovò una grande comunità in cui diffondere le sue idee soprattutto in Germania.

Sancar aggiunge che il potere di mobilitazione degli intellettuali durante le manifestazioni di solidarietà socio-critica e le dimostrazioni degli anni Ottanta in Europa è stato straordinariamente forte e ha poi gettato le basi per una diaspora di sinistra attiva in Europa.

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Come pensa la sinistra? 

Secondo Sancar, nella diaspora i partiti di sinistra HDP e CHP non possono essere chiaramente separati sul piano ideologico, anche se ci sono certamente delle differenze. L’HDP è soprattutto sostenuto dai curdi, altre minoranze come gli assiri e le cerchie di sinistra. Anche i gruppi femministi e marxisti votano soprattutto HDP.

Il CHP è invece piuttosto il partito della democrazia sociale classica e consolidata. Ma i gruppi menzionati sopra sono sicuramente rappresentati anche nel CHP. Il politico bernese spiega che tuttavia alcuni sostenitori dell’HDP sono irritati dalla vicinanza allo stato del CHP e della sua politica a favore dell’establishment.

Chi vota per chi?

“Nelle comunità che hanno un maggiore legame con il loro paese di residenza europeo e in cui ci sono molte persone con la doppia cittadinanza, i legami con lo Stato turco sono più deboli. È in queste cerchie che si trovano i classici elettori CHP e HDP”, spiega Clarkson.

Secondo lui, i turchi che invece hanno un più forte legame con il paese d’origine rispetto a quello in cui sono nati, benché siano della terza o quarta generazione, votano normalmente AKP. I turchi della diaspora europea che votano Erdogan lo fanno però soprattutto per restare fedeli allo stato piuttosto che a Erdogan stesso. Il presidente turco è piuttosto visto come un uomo forte a capo di uno stato turco forte.

Questi gruppi di turchi all’estero vicini allo stato sono sempre esistiti e dispongono di una certa presenza e forza grazie all’accesso a mezzi di comunicazione statali. Tuttavia, non si può parlare di una maggioranza strutturale di sostenitori di Erdogan, anche perché gli schemi di identificazione politica degli elettori non sono così diversificati come nella Turchia stessa.

Sancar ritiene che il risultato delle elezioni e del referendum è da ricondurre soprattutto a due fattori: le diverse strategie dei partiti d’opposizione da una parte e la forte rete di piattaforme vicine all’AKP per mobilitare le parti conservative della diaspora dall’altra. L’organizzazione quadro islamica Diyanet e il movimento del predicatore Fetullah Gülen hanno svolto un ruolo fondamentale. Tuttavia, nel 2013 il movimento si è diviso in sostenitori di Gülen e di Erdogan.

Non da ultimo, sono anche state le schermaglie diplomatiche e i deragliamenti verbali dei politici europei e turchi a spingere la parte conservatrice della diaspora a identificarsi maggiormente e per reazione con lo stato turco. 

L'”Adenauer turco”

La polarizzazione della diaspora ma anche della Turchia è in aumento. Il clima diplomatico tra la Turchia e l’Europa è teso. Si tende a dimenticare che in passato vi sono stati segnali decisamente più positivi.

Clarkson ricorda, per esempio, l’iniziativa di Erdogan per la pace nel conflitto curdo che era stata accolta con una certa apertura sia dai curdi in Turchia che in Europa. La sinistra della diaspora ha creduto più a lungo in questa iniziativa rispetto a quella rimasta in Turchia. In Germania, Erdogan è stato addirittura considerato a lungo l'”Adenauer turco” che voleva modernizzare il paese con l’AKP e una sorta di “democrazia cristiana islamica”.

Anche Sancar ammette che all’inizio Erdogan aveva riconosciuto il problema curdo e si era impegnato per negoziare una soluzione, almeno fino a dopo la perdita della maggioranza assoluta delle elezioni di giugno 2015. In seguito ha abbandonato del tutto questa strada.

Traduzione di Michela Montalbetti

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