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Bambini sfruttati dietro all’oro importato in Svizzera, ong

(Keystone-ATS) L’oro importato in Svizzera dal Togo proviene in realtà dal Burkina Faso, dove nelle miniere vengono sfruttati bambini.

È quanto emerge da un’inchiesta condotta dall’ong Dichiarazione di Berna che, oltre a denunciare condizioni di lavoro “abominevoli”, punta il dito contro due società elvetiche, la MM Multitrade di Ginevra, in mano al gruppo Ammar, e la Valcambi di Balerna.

Lo scorso anno in Svizzera sono state importate 7 tonnellate di oro provenienti dal Togo, paese africano che possiede rarissimi giacimenti ed è assolutamente incapace di fornire un tale quantitativo di metallo giallo, si legge in una nota odierna dell’organizzazione. Quest’ultima, risalendo l’intera filiera di produzione, ha scoperto che l’oro proveniva invece dal vicino Burkina Faso, nelle cui miniere lavorano fra il 30 e il 50% di bambini.

Ogni giorno rischiano la vita scendendo in pericolosi cunicoli poco ventilati, denuncia l’ong, aggiungendo che i ragazzini respirano sostanze tossiche che provocano gravi malattie. Una volta estratto, il prezioso metallo viene trasportato illegalmente in Togo da una potente rete di contrabbandieri. Viene in seguito importato in Svizzera dal gruppo Ammar, in mano a una famiglia libanese, attraverso la sua filiale ginevrina MM Multitrade. L’oro termina il suo periplo alla raffineria Valcambi di Balerna, leader mondiale nel settore.

Per il Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del pianeta, questo contrabbando provoca importanti perdite fiscali, stimate dalla Dichiarazione di Berna in 6,5 milioni di franchi per il solo 2014. Ciò rappresenta un quarto dell’aiuto allo sviluppo concesso lo scorso anno dalla Svizzera al Paese africano.

Secondo l’ong, ciò mostra quanto sia importante introdurre regole vincolanti per le società elvetiche che operano nel settore delle materie prime. La Dichiarazione di Berna afferma inoltre di aver difficoltà a credere che sia l’importatore che la raffineria ignorino la provenienza precisa dell’oro.

Oltretutto, prosegue l’ong, nel suo codice di condotta la Valcambi sottolinea di conoscere nel dettaglio i fornitori e di applicare alla lettera gli standard del settore, che mirano in particolare ad evitare il commercio di oro prodotto violando i diritti umani.

Purtroppo le autorità svizzere si rifiutano di rendere obbligatorie norme di questo tipo e preferiscono contare sulle iniziative volontarie delle società, constata l’ex procuratore ed ex consigliere agli Stati ticinese, Dick Marty, interrogato dal quotidiano La Liberté. Tutto ciò ricorda le reti finanziarie costruite per riciclare denaro: “una serie di intermediari per confondere le piste e diluire le responsabilità”, prosegue Marty.

Interrogata dall’ats, la Valcambi non ha per ora preso posizione.

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