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Borse UE bruciano 160 miliardi di euro

(Keystone-ATS) Tonfo delle Borse europee che in un giorno bruciano 162 miliardi di euro tra i timori per la crescita globale e le incertezze sui mercati emergenti.

Sullo sfondo resistono le apprensioni per i crolli in Cina, dove Shanghai ha fatto oggi un nuovo scivolone lasciando sul terreno ben il 3,4%.

Ma il clima è piuttosto confuso e ne fa le spese anche Wall Street, mentre solo oro (+1,26%) e platino (+1,29%) sembrano porti sicuri. Intanto nuove incertezze si affacciano sulla Grecia, che dopo la svolta nella crisi è alle prese ora con le dimissioni del premier Alexis Tsipras e l’attesa che il paese torni presto al voto.

Alla fine sui mercati europei l’indice Stoxx 600, che contiene i principali titoli quotati sui listini del Vecchio continente, ha perso il 2%. Milano tra l’altro è stata la peggiore tra i grandi listini, con l’Ftse Mib in ribasso del 2,6%. Hanno perso comunque più del 2% anche Parigi e Francoforte. Mentre Atene ha chiuso in ribasso del 3,52%.

Il mix di fattori dietro ai cali in atto resta comunque intricato. Con evidenza, in ogni caso, accanto alle turbolenze cinesi si sono affacciati oggi le paure sulle prospettive delle economie dei paesi emergenti, le cui banche centrali non sembrano nelle condizioni di arginare la pressione sulle loro valute. Oltre al quantitative easing e alle svalutazioni in Cina, molti cambi soffrono infatti sui cali delle materie prime, petrolio in testa.

È il caso emblematico oggi del Kazakhstan, grande produttore di oro nero, un’economia molto legata a Pechino e Russia, paese a sua volta in crisi e con una valuta – il rublo – quasi dimezzata nell’ultimo anno, anche in scia alle sanzioni. L’istituto centrale kazako è stato così costretto a rinunciare al cambio fisso del tenge, la moneta del paese, ma grandi turbolenze si sono viste su varie valute asiatiche, ma non solo.

La lira turca è ad esempio sui minimi in scia alle incertezze politiche, anche il rand sudafricano appare sotto pressione. E si temono scossoni su tutte le monete dei paesi ex Urss, su quelle dei paesi produttori di petrolio o di altre materie prime importanti. Il timore dei mercati, insomma, è che sia l’intera crescita globale a risentirne, con l’atteso rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve americana che potrebbe anche amplificare le tensioni.

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