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Brexit: boom raccolta fondi, ma Big Ben non suonerà a festa

Il Big Ben non tornerà a suonare nemmeno per la Brexit. KEYSTONE/EPA/WO ukit sda-ats

(Keystone-ATS) Procede a gonfie vele ma vanamente la raccolta fondi online – benedetta due giorni fa dal premier britannico Boris Johnson – per pagare i costi della riapertura del Big Ben, in restauro, e consentire di farlo suonare allo scoccare della formalizzazione della Brexit.

Ciò accadrà esattamente alle 23 ora locale del 31 gennaio prossimo. Una commissione parlamentare ha infatti detto no all’iniziativa e Downing Street ha apparentemente chinato il capo, nonostante le proteste del deputato Tory Mark Francois. Per l’esponente euroscettico oltranzista e fra i promotori del progetto, in 48 ore i sostenitori della causa avevano già inviato 80’000 sterline in micro donazioni e il denaro stava continuando ad “affluire senza sosta”.

L’idea aveva suscitato polemiche fin da subito ed era stata vista da più parti come una provocazione nei confronti degli elettori schieratisi a favore del Remain al referendum del 2016, minoritari nel Regno, ma maggioritari a Londra. Finché, a cadere come un macigno, non è arrivato il no del comitato bipartisan della Camera dei Comuni che si occupa della gestione del palazzo di Westminster, edificio parlamentare di cui la torre del Big Ben fa parte.

In commissione ha pesato il parere contrario del Labour e degli altri partiti d’opposizione, che hanno giudicato irricevibile – anche per ragioni normative formali – l’idea di far finanziare con denaro privato un intervento straordinario non concordato su un bene pubblico la cui riapertura a metà dei restauri costerebbe circa 500’000 sterline.

Confermata invece al momento l’autorizzazione alla celebrazione di piazza brexiteer organizzata per la sera del 31 in Parliament Square, di fronte a Westminster, dal Brexit Party di Nigel Farage con comizi, fuochi d’artificio e momenti di spettacolo.

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