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Check-point Mosca a confini con Bielorussia, ira di Minsk

Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko. KEYSTONE/EPA BELTA POOL/NIKOLAI PETROV / POOL sda-ats

(Keystone-ATS) C’è maretta fra la Russia e la Bielorussia, sulla carta alleati di ferro. Mosca ha infatti deciso di introdurre dei check-point al confine fra i due Paesi per effettuare controlli alla frontiera, che ufficialmente non esiste dal 1995.

La decisione ha fatto infuriare il ‘presidentissimo’ di Minsk, Alexander Lukashenko, secondo cui i controlli “danneggeranno le relazioni bilaterali tra i due Paesi”.

Ora, per capire bene come stanno le cose, è necessario fare un passo indietro. La Bielorussia in luglio ha deciso di abolire i visti per i cittadini di circa 80 nazioni, Ue e Usa inclusi, sebbene con forti restrizioni – per viaggi fino a 5 giorni e solo se il punto d’ingresso è l’aeroporto internazionale di Minsk. Un test che, se di successo, potrebbe essere “esteso”.

Per Mosca si tratta di un nervo scoperto. La questione dell’abolizione dei visti tra Russia e Unione Europea è infatti annosa e – complice la crisi ucraina – lontana dall’essere risolta. Sta di fatto che, da luglio, è in teoria possibile entrare in Russia da Minsk senza visto eludendo ogni controllo.

Il portavoce di Vladimir Putin non a caso aveva di recente ribadito che era necessario fare di tutto per “escludere l’impatto di questo regime senza visti sul nostro confine” e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov già a novembre aveva anticipato la possibilità di “controlli temporanei a cittadini di Paesi terzi”. Ora si è passati dalle parole ai fatti e l’FSB, i servizi di sicurezza russi, hanno emanato un’ordinanza che istituisce i check-point alla frontiera.

Come si eserciteranno i controlli, però, al momento è un mistero. I cittadini russi e bielorussi, in virtù dell’accordo sottoscritto che ha naturalmente un valore maggiore dell’ordinanza dell’FSB, non hanno l’obbligo di mostrare il passaporto quando attraversano l’inesistente frontiera. Se dunque l’enfasi di Mosca cade sulle ragioni della “sicurezza” e della misura rivolta ai cittadini “terzi”, nella pratica sarà difficile esercitare i controlli senza discriminare i ‘locali’.

L’altro aspetto, più sfumato ma altrettanto significativo, è che la ‘rotta bielorussa’ rappresentava l’ultima via di fuga possibile per gli oppositori finiti nel mirino delle autorità – l’ultimo caso eccellente è quello di Piotr Pavlensky, l’artista spina nel fianco del Cremlino che al termine di una battaglia legale ricca di colpi di scena ha deciso di lasciare il Paese proprio via Minsk – ma anche per comuni cittadini oberati di debiti (e dunque in base alla legge russa impossibilitati a espatriare) o per ‘semplici’ criminali. Insomma, quale che sia la ragione, se un russo oggi aveva difficoltà a lasciare il suo Paese, poteva sempre prendere un treno per Minsk e da lì un aereo. Con i check-point la cosa diventa decisamente più difficile.

Il ritorno della frontiera fra Russia e Bielorussia, per quanto ‘ibrida’, non fa ad ogni modo che evidenziare il rapporto sempre più teso fra Lukashenko e Putin, già incrinato dai ripetuti ‘niet’ dello zar all’ennesimo sconto su gas e petrolio chiesti dal ‘presidentissimo’ di Minsk.

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