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Cinema: 30 anni fa l’addio a sir Alfred Hitchcock

(Keystone-ATS) LOS ANGELES – Meno di 10 giorni prima della sua morte, il 29 aprile di 30 anni fa a Los Angeles, Sir Alfred Hitchcock festeggiò a modo suo il titolo di Cavaliere dell’Impero britannico ricevuto poco tempo prima: organizzò in tutti i dettagli il suo funerale, si stese nella bara e convocò i fotografi per ritrarre la mesta cerimonia: sembrò un colpo pubblicitario, ma era il presentimento della morte.
Quella morte che in tutta la sua vita da artista Hitchcock aveva corteggiata, indagata, derisa ed evocata con tale inquietante precisione da far dire al suo alter ego per eccellenza, François Truffaut: “E’ impossibile non accorgersi che le scene d’amore nei suoi film sono girate come gli omicidi e la scena de delitto come una scena di seduzione. Forse per Hitch amore e morte sono la stessa cosa”.
Per ricordare il trentennale della scomparsa del ‘genio del brivido’, il canale televisivo Studio Universal ne rivisita l’arte per tutto il mese di aprile con i 30 episodi del suo pionieristico ‘Alfred Hitchcock Presents’ (la serie tv degli anni ’50), quattro classici del periodo hollywoodiano (da ‘La finestra sul cortilé a ‘Gli uccelli’), alcuni documentari e il suo film del 1929, ‘Blackmail’, che segnò il passaggio dal cinema mystery tra muto al sonoro (in onda il 26 aprile).
Iniziative analoghe sono in programma ovunque nel mondo tra fan club, cineteche, alla Film Academy di Hollywood, che tributò al regista l’onore del successo (sancito dall’Irving Thalberg Award nel 1968) e l’infamia del mancato riconoscimento (ha il record di candidature all’Oscar senza alcuna statuetta). Del resto, la sua sorte critica non fu mai molto diversa: osannato dal pubblico, fu per decenni svilito dagli studiosi che lo consideravano, nella migliore delle ipotesi, un bravo mestierante. Si deve ai giovani critici francesi dei Cahiers du cinéma, Truffaut, Rohmer e Chabrol in testa, se l’inversione di tendenza lo ha eletto, nel tempo, ad autentico maestro.
Nato in un sobborgo londinese il 13 agosto 1899, terzogenito di William, commerciante di frutta e verdura, il piccolo Alfred si fa strada nel cinema dopo gli studi di ingegneria navale, guadagnandosi da vivere come disegnatore di titoli e cartelli alla Gainsborough Pictures dove lavora nei primi anni ’20. Proprio in Italia, nel 1925, gli viene affidata la prima regia con ‘The Pleasure Garden’ girato in gran parte sul lago di Como. Il successo arriva appena un anno dopo con ‘The Lodger’ che ricrea le atmosfere brumose della Londra di Jack lo Squartatore e gli schiude le porte del cinema della paura, aura confermata quattro anni dopo, all’avvento del sonoro, con ‘Blackmail’. Negli anni ’30 passa da una conferma all’altra con titoli popolari come ‘Murder’, ‘Il club dei 39’, ‘L’uomo che sapeva troppò, ‘La signora scompare’ alternati a commedie e film di classico impianto teatrale.
Quando nel 1940 sbarca in America (dopo due rifiuti) su invito del produttore David O’Selznick per dirigere ‘Rebecca la prima moglie’ è già una star, ma non si perdonerà mai di aver abbandonato la madrepatria (e sua madre) sotto le bombe tedesche. Intanto però si impone anche a Hollywood dove dirigerà i primi film da ‘autore’ come ‘Il sospetto’, ‘L’ombra del dubbiò (il suo titolo preferito), ‘Sabotatori’, ‘Prigionieri dell’oceanò. Dopo la fine della guerra conosce il massimo trionfo per oltre un decennio firmando opere come ‘Notorius’, ‘Io ti salvero”, ‘Nodo alla gola’, ‘L’altro uomò, ‘Il delitto perfetto’, ‘La finestra sul cortile’, ‘L’uomo che sapeva troppò (seconda versione), ‘La donna che visse due volte’, ‘Intrigo internazionale’. Con l’avvento della tv, che sembra indifferente al suo genio, Hitchcock si riscatta dirigendo il suo film meno costoso ma forse più noto, ‘Psycho’ (1960). Dopo essersi ripetuto due anni dopo con ‘Gli uccelli’, inizia un lento declino, pareggiato dalla sua popolarità come personaggio e creatore di incubi in tv, fino al ritorno in Inghilterra con ‘Frenzy’ (1972).
Su di lui sono fiorite mille leggende, dalla misantropia (spesso timidezza) alla passione per la buona tavola, a quella repressa per le donne (spesso sfogata sulle attrici) alla fedeltà all’unica moglie, Alme Reville, più vecchia di appena un giorno e conosciuta da giovanissimo. Adorava Fritz Lang e Luis Bunuel che considerava il più grande regista mai esistito. Guardava con sospetto i suoi ‘eredi’, da Brian de Palma a Dario Argento. Ha firmato il più lungo piano sequenza nella storia del cinema in ‘Nodo alla gola’, ha rivoluzionato le regole del giallo, della spy story, del noir e dell’horror. Ma gli si farebbe torto a non evocare la leggerezza, l’umorismo, l’ironia che pervadono la sua opera e che divennero un analogo ‘marchio di fabbrica’ nelle sue apparizioni.

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