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Credit Suisse-USA: tempi stringono, multa da 2,5 miliardi dollari?

(Keystone-ATS) I tempi stringono per Credit Suisse nel contenzioso con le autorità americane: secondo fonti insider citate ieri dal “Wall Street Journal” e dall’agenzia Bloomberg la grande banca elvetica starebbe per patteggiare una multa di quasi 2,5 miliardi di dollari (2,24 miliardi di franchi) per archiviare l’accusa di aver aiutato clienti americani ad evadere il fisco. Per di più si prospetta un’ammissione di colpevolezza che, anche con il mantenimento della licenza bancaria, potrebbe essere gravida di conseguenze. L’accordo extragiudiziale potrebbe essere formalizzato la settimana prossima.

Circa 1,7 miliardi di dollari dovrebbero andare al Dipartimento di Giustizia, almeno 600 milioni al New York State Department of Financial Services (l’agenzia dello Stato di New York responsabile per la regolamentazione dei servizi e prodotti finanziari) e altri 100 milioni di dollari alla Federal Reserve (Fed), la banca centrale americana. Nei giorni scorsi, l’agenzia di stampa Reuters aveva già evocato una multa totale di oltre 2 miliardi per il Credit Suisse, che ha finora rifiutato qualsiasi commento e che ha già accantonato per far fronte alle vertenze negli USA 895 milioni di franchi, circa un miliardo di dollari. In precedenza gli analisti avevano previsto un pagamento tra gli 1,4 e gli 1,6 miliardi di dollari.

Nella vertenza fiscale con Washington, il CS ha già dovuto sborsare nel febbraio scorso alla SEC (organo di sorveglianza delle borsa statunitense) 196 milioni di dollari (174 milioni di franchi) dopo aver riconosciuto di aver proposto negli Usa i propri servizi a clienti americani senza averne l’autorizzazione.

Più del triplo della multa all’UBS e ammissione di colpa

A titolo di paragone, nel febbraio 2009 UBS aveva accettato di pagare una multa di “soli” 780 milioni di dollari per risolvere una vertenza analoga con il fisco USA. Aveva inoltre consegnato i nomi di oltre 250 clienti sospettati di aver frodato il fisco USA, su richiesta della stessa Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma), poi bacchettata dal Tribunale amministrativo federale ma infine “assolta”, nel luglio 2011, dal Tribunale federale, proprio mentre dagli USA giungeva la notizia dell’apertura di un’inchiesta contro il Credit Suisse, seguita da quelle contro una dozzina di altre banche elvetiche.

Le autorità americane chiedono nomi anche al CS e non si accontentano più di un accordo “amichevole” come con UBS: vogliono una dichiarazione formale di colpevolezza. Per far pressione hanno anche prospettato un procedimento penale, che potrebbe minare l’esistenza stessa della banca, ma non sembrano voler giungere a tanto.

Nessuno è “too big to jail”, troppo grande per finire in galera, ha più volte ribadito il ministro di giustizia Eric Holder. Alcuni giorni fa ha però lasciato intendere che il governo di Washington vuole evitare di mettere il Credit Suisse al muro, minacciandone l’esistenza stessa, per non mandare in subbuglio l’intero sistema finanziario.

Il Credit Suisse – scrive oggi l’agenzia Reuters – vorrebbe chiudere la vertenza al più presto: fornire nomi e pagare. Il segreto bancario svizzero gli lega però le mani: gli istituti elvetici possono fornire nomi di clienti soltanto nell’ambito di procedure d’assistenza amministrativa. Dal punto di vista degli americani – rileva ancora la Reuters – un simile modo di procedere è troppo lungo e complicato e la Svizzera è stata più volte accusata di tattica dilatoria.

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