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Daniel Koch offrì più volte dimissioni da task force Covid

Daniel Koch è stato il volto svizzero della lotta alla pandemia. KEYSTONE/PETER KLAUNZER sda-ats

(Keystone-ATS) Daniel Koch, l’ex alto funzionario della Confederazione in prima linea sul fronte coronavirus, offrì più volte le sue dimissioni dalla task force contro il Covid-19, essendo contrario a puntare solo sui divieti. A raccontarlo è lo stesso 65enne in un libro.

Da mercoledì in libreria farà la sua comparsa “Daniel Koch – Stärke in der Krise”, un volume di 260 pagine frutto della penna del medico Ruedi Grüring. La parte sulla crisi coronavirus è stata però scritta dallo stesso Koch e oggi il Tages-Anzeiger pubblica degli estratti.

Il contributo parte dalle difficili fasi iniziali dell’epidemia, in cui bisognava decidere l’approccio generale. “In linea di principio, le opinioni erano divise sulla questione se porre maggiormente l’accento su divieti per la popolazione, secondo il modello asiatico, o sulla responsabilità personale e la protezione dei gruppi vulnerabili, seguendo il modello svedese”, racconta l’ex delegato del Consiglio federale per il Covid-19 , e ancora prima, capo della Divisione malattie trasmissibili dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP).

“Sebbene fosse chiaro a tutti fin dall’inizio che era possibile solo un mix di entrambe le cose, c’è stato un acceso dibattito sul rapporto tra questi due approcci. Le discussioni sono durate settimane. In diverse occasioni mi sono offerto di dare le dimissioni dalla task force al direttore dell’UFSP Pascal Strupler. Non avrei sostenuto una strategia di puro proibizionismo. Fin dall’inizio mi sono battuto affinché venissero proposte al Consiglio federale solo quelle misure che la popolazione potesse comprendere e sostenere a lungo termine”.

In molti punti del libro – riferisce il Tages-Anzeiger – Koch esprime velate critiche agli scienziati che, parallelamente a Koch e quindi all’Ufficio federale della sanità pubblica, si espressero in pubblico sul tema del coronavirus. Non vengono però fatti nomi.

“Fin dall’inizio della crisi, gli epidemiologi delle università che lavorano nell’insegnamento e nella ricerca hanno rilasciato dichiarazioni”, ricorda. “Il fatto che notizie di catastrofi e l’annuncio di 30’000 morti in Svizzera siano stati ripresi anche dalla stampa seria mi ha sorpreso.”

“Questo ha reso nervosi i responsabili della comunicazione”, prosegue Koch. “Ciò nonostante mi sono rifiutato di avviare una disputa tra esperti in pubblico. Sono rimasto fedele alla nostra comunicazione graduale e cauta. Per me, questo è stato l’approccio più onesto, perché era il modo migliore per incorporare e comunicare la conoscenza che stava gradualmente diventando disponibile”.

Riguardo a SwissCovid, l’applicazione per il tracciamento dei contatti sviluppata dai politecnici di Losanna e Zurigo, il medico con studi a Berna non appare entusiasta. “Sebbene mi sforzi di valutare questo strumento in modo obiettivo, trovo solo pochi punti positivi”.

Tecnicamente, secondo Koch, gli sviluppatori sono sicuramente riusciti a creare un prodotto di successo. A suo avviso è invece tutto da determinare se sia valsa la pena l’onere di svilupparla e di creare una base giuridica. “A mio parere, il sostegno allo sviluppo dell’app ha assorbito troppe risorse e distratto da molti aspetti molto più essenziali”. L’attenzione va suo avviso rivolta alle misure di protezione: “esse contribuiscono in modo significativo alla gestione delle crisi: non bisogna distrarsi in teatri secondari”. Ma Koch dice anche: ora l’app esiste e quindi non ha senso non usarla.

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