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Decifrato sorriso enigmatico della Gioconda, esprime felicità

Sempre molto ammirata dai visitatori KEYSTONE/EPA/HORACIO VILLALOBOS sda-ats

(Keystone-ATS) Sembra risolto il mistero del sorriso della Gioconda: Monna Lisa non è ambigua ed enigmatica, come si è detto per secoli, ma semplicemente contenta.

Il suo volto, immortalato dal pennello di Leonardo Da Vinci, esprime infatti felicità: così per lo meno viene interpretato dal nostro cervello, come dimostra un esperimento condotto dalla ricercatrice italiana Emanuela Liaci all’Università di Friburgo, in Germania.

I risultati, pubblicati su Scientific Reports, indicano come la percezione delle emozioni comunque non sia assoluta, ma possa essere influenzata dal contesto in cui ci troviamo.

”Siamo stati molto sorpresi dallo scoprire che la Monna Lisa viene sempre vista come felice: questo mette in discussione l’opinione comune tra gli storici dell’arte”, afferma il coordinatore del gruppo di ricerca, Jurgen Kornmeier.

Per decifrare il sorriso della Gioconda, i ricercatori hanno mostrato ad un gruppo di volontari il dipinto di Leonardo insieme ad altre otto versioni ‘ritoccate’, in cui gli angoli della bocca della Monna Lisa erano stati leggermente curvati verso l’alto o il basso per dare un’espressione più felice o più triste.

Le immagini, tutte in bianco e nero, sono state mostrate più volte e in ordine del tutto casuale. Dalle reazioni degli osservatori, è emerso che la versione originale del quadro e le quattro con l’espressione più positiva sono state percepite come ‘felici’ quasi nel 100% dei casi, e il loro riconoscimento è avvenuto più velocemente e con una maggiore certezza rispetto alle espressioni più tristi. ”E’ come se il nostro cervello fosse più portato a riconoscere le espressioni facciali positive”, spiega Emanuela Liaci.

In un secondo esperimento, i ricercatori hanno mostrato ai volontari la Gioconda originale insieme ad altre sette versioni, tutte più malinconiche: in questo contesto di maggiore negatività, tutte le immagini sono state giudicate dagli osservatori come più tristi. ”I dati – conclude Kornmeier – dimostrano che la nostra percezione di ciò che è triste o felice non è assoluta, ma si adatta al contesto con una velocità impressionante”.

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