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Egitto: ancora sangue, ora la polizia può sparare

(Keystone-ATS) La repressione nella moschea di Rabaa al Adawia la collera dei pro-Morsi incendiano l’Egitto: dopo lo sgombero forzato delle piazze simbolo, Rabaa e Nahda, nuovi scontri e attacchi contro i militari hanno insanguinato il Paese. Il bilancio ufficiale del blitz di ieri ha sfondato i 500 morti in tutto l’Egitto, mentre quello dei Fratelli musulmani ne conta oltre 4500. Oltre 3000 i feriti, altrettante le persone arrestate.

Ma la repressione non ha fermato i manifestanti. E fra poche ore arriverà la preghiera di venerdì: i Fratelli musulmani hanno indetto una nuova mobilitazione in tutto il Paese. Il governo ribadisce la linea dura, e il ministero dell’Interno ha autorizzato la polizia a sparare a “chiunque tenti di attaccare le forze di sicurezza o siti strategici”.

Il Cairo è una città assediata, con i sostenitori del presidente deposto Mohamed Morsi che hanno attaccato a sorpresa punti diversi della capitale: a Giza, il governatorato che abbraccia una parte del Cairo, i manifestanti hanno appiccato le fiamme alla sede del governatorato. Poi gli scontri con i “residenti”, come vengono definiti dai media di Stato gli attivisti anti-Morsi che da ieri presidiano le strade armati di bastoni e machete.

Ad Alessandria il bilancio più grave, con almeno 4 morti, dopo il corteo organizzato dai Fratelli musulmani. Nel Nord Sinai attacchi contro checkpoint e circoli dei militari da parte di uomini armati hanno lasciato sul campo 6 vittime tra le forze dell’ordine.

Resta alta la preoccupazione tra i cristiani copti, con 22 attacchi in 24 ore contro i luoghi di culto: il premier Hasem el Beblawi ha assicurato che il suo governo “proteggerà le chiese”.

Le violenze delle ultime 48 ore sono state severamente condannate anche dal presidente statunitense Barack Obama, dopo le veementi critiche ai militari arrivate da Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania. Il premier turco, Recep Tayyp Erdogan, ha chiesto una riunione d’urgenza del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il vicepresidente ad interim del governo provvisorio, il premio Nobel per la Pace Mohamed El Baradei, ha messo sul tavolo del presidente Adly Mansour le proprie dimissioni. Quest’ultimo è stato costretto ad accettarle.

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