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Ergastolo a tassista di Uber per stupro cliente

(Keystone-ATS) È una punizione esemplare quella inflitta oggi da un tribunale di New Delhi contro un tassista di Uber accusato di aver stuprato una giovane cliente sulla sua auto.

I giudici hanno deciso che Yadav, 32 anni e padre di due bambine, dovrà passare il resto della propria vita dietro le sbarre di una prigione.

La violenza, che risale a 11 mesi fa, aveva creato una nuova ondata di proteste nella metropoli nota come ‘capitale degli stupri’ e un giro di vite contro le società di noleggio taxi via smartphone come l’americana Uber. Paradossalmente proprio questo sistema di trasporto era considerato ‘sicuro’ dalle donne single dopo il caso di ‘Nirbhaya’, la studentessa coraggiosa morta dopo uno stupro collettivo su un autobus il 16 dicembre 2012.

In una precedente sentenza, ad ottobre, il tassista era stato giudicato colpevole di violenza sessuale, sequestro di persona, intimidazioni e attentato alla vita della 25 enne impiegata di una società finanziaria che la sera del 5 dicembre 2014 era salita sul taxi nel polo tecnologico di Gurgaon, dove lavora, per tornare a casa dopo una festa. E oggi i giudici hanno deciso di comminare come pena l’ergastolo più una ammenda. L’agenzia di stampa Pti riferisce che al momento del verdetto il tassista è scoppiato in lacrime. La moglie è anche svenuta in aula.

Secondo la ricostruzione della vicenda, Yadav ha deviato il percorso quando la donna si è appisolata sul suo taxi e l’ha portata in una zona isolata. Dopo aver bloccato le portiere ha abusato di lei minacciandola di “farle quello che era stato fatto a Nirbhaya se avesse opposto resistenza”. L’accusa ha presentato 28 testimoni a sostegno della sua tesi.

Appena tornata a casa, la giovane è andata immediatamente alla polizia per denunciare Yadav (aveva il suo nome sulla ricevuta) che è stato arrestato dopo due giorni a Mathura, a circa un’ora da New Delhi, dove era scappato per fuggire alla cattura. È emerso che l’uomo aveva già altre denunce per molestie sessuali.

La vittima, che non è mai stata identificata per proteggere la sua privacy, aveva presentato una causa negli Stati Uniti chiedendo un risarcimento per “i pregiudizi fisici e finanziari” sofferti e per i danni causati alla sua “reputazione personale e professionale”.

La denuncia, presentata a un tribunale di San Francisco, era poi stata ritirata a settembre probabilmente (ma non è stato reso noto) dopo un accordo extragiudiziale.

La vicenda aveva causato un forte contraccolpo su Uber e sui suoi concorrenti online. Le autorità avevano revocato la licenza per operare come taxi, ma dopo sei mesi il servizio era di nuovo disponibile.

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