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Fra Brexit e Panama, su Cameron è tempesta perfetta

(Keystone-ATS) Tempesta su David Cameron. È bastato un documento, fra i milioni dello scandalo a puntate dei Panama Papers, a mettere nei guai il premier conservatore britannico a poco più di due mesi dall’appuntamento cruciale del referendum sul destino europeo del Regno Unito.

Fino a far mormorare a qualcuno la parola “dimissioni”, sullo sfondo di un sondaggio Yougov i cui dati nel frattempo lo confermano ormai meno popolare di Jeremy Corbyn: il “vecchio socialista” che l’establishment londinese continua a pretendere ineleggibile.

Colpa dei segreti venuti a galla sulla società offshore costituita dal padre Ian (un facoltoso broker morto nel 2010) nel rifugio fiscale panamense. Un’attività su cui l’inquilino di Downing Street ha provato in un primo momento a glissare (“questione privata”, l’infelice uscita iniziale di una portavoce); salvo poi accettare di rispondere, ma solo per dire di non avere conti offshore in prima persona e, successivamente, per assicurare di non aver mai “beneficiato” né di intendere “beneficiare in futuro” con la sua famiglia del patrimonio paterno.

Finché, braccato da rischio di nuove rivelazioni, non ha ammesso ieri di fronte alle telecamere di Itv di aver in realtà detenuto 5000 quote di quel fondo e di averle vendute per “qualcosa come 30’000 sterline” prima di prendere possesso della carica di primo ministro sei anni fa.

Un’operazione legale, insiste Cameron, condotta “in modo normale” nel rispetto della normativa fiscale britannica vigente. Ma senza convincere le opposizioni e tanto meno i giornali, che oggi – dal progressista Guardian al filo-conservatore Telegraph, dai tabloid più populisti al severo Financial Times caro alla City – lo criticano senza eccezioni.

E talora sparano a zero. Il problema è l’ammontare di quelle tasse da paradiso caraibico (poca roba sui dividendi, nulla sui capital gains, secondo le parole del premier medesimo). Ma anche è sopratutto il fatto che il leader Tory abbia “mentito”. O come minimo cambiato versione a più riprese, annaspando in contraddizioni che secondo diversi commentatori celano “ipocrisia”.

L’ipocrisia di chi, rileva proprio il Ft, ha intascato profitti da privato cittadino ed erede grazie a quel controverso fondo paterno, mentre in veste di capo del governo condannava l’elusione e l’evasione fiscali, impegnandosi solennemente a sradicare gli schemi che le rendono possibili (ma in effetti frenando in sede Ue sul punto, a tutela di un Paese la cui economia resta legata a doppio filo a finanza, immobili e intermediazioni).

A complicare la situazione per Cameron vi è un concentrarsi di circostanze sfavorevoli potenzialmente micidiali: in primo luogo il referendum sulla Brexit del 23 giugno, che lo vede alfiere del no al divorzio da Bruxelles, ma sotto il tiro di un robusto fronte anti-Ue che ha spaccato il suo partito e il suo stesso governo; e poi lo scivolone recente sulla finanziaria, con le nuove rasoiate allo stato sociale e persino il taglio (alla fine rimangiato) sui fondi ai disabili; o ancora la crisi delle acciaierie con 40.000 posti di lavoro in pericolo fra Galles e Inghilterra e le accuse montanti all’esecutivo d’aver sabotato gli sforzi europei contro le importazioni sottocosto cinesi in omaggio agli affari bilaterali Pechino-Londra.

Un contesto che minaccia di azzoppare il primo ministro in vista del voto referendario. Se non di farlo cadere, in barba a quella stabilità che le elezioni del maggio 2015 sembravano avergli garantito. A parlare esplicitamente di dimissioni è un deputato laburista, John Mann, con il numero 2 del partito, Tom Watson, che al momento si limita a non escluderle. Gli indipendentisti scozzesi dell’Snp, per bocca della first minister Nicola Sturgeon, intimano a loro volta “chiarezza” e “trasparenza”. Mentre il cancelliere dello scacchiere ombra, John McDonnell, parla di “fiducia erosa”, e il libdem Tim Farron di comportamento “moralmente vergognoso”.

Tace invece per ora il leader del Labour, Jeremy Corbyn, che però si prepara alla resa dei conti parlamentare invocata da tutti per inizio settimana. Incoraggiato degli ultimi sondaggi, Corbyn – uomo della sinistra radicale da sempre in prima fila contro l’austerity come contro i privilegi fiscali dei vip – ha del resto carte da giocare in questa vicenda: forte d’uno stile di vita coerente, quasi monastico – fatto di zero mondanità, abiti sdruciti e fuori moda, bici spartane – che lo fanno apparire lontano mille miglia dagli scheletri degli armadi di Panama.

Armadi da cui continuano a uscire carte e nomi di ricchi, potenti e famosi del pianeta, o almeno di alcuni di loro. Intanto, mentre a Ginevra la procura cantonale punta l’occhio sugli intermediari svizzeri dello studio Mossack Fonseca, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) annuncia per il 13 aprile a Parigi la convocazione di un vertice delle autorità fiscali di un gran numero di paesi avanzati. L’obiettivo è trovare l’accordo su “un’azione di collaborazione” e per la “condivisione di informazioni”.

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