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Grecia: la scure della troika anche su stipendi preti

(Keystone-ATS) La scure della troika in Grecia incombe anche sugli stipendi dei preti ortodossi. È di nuovo tensione fra il governo di Atene ed i massimi vertici della potente Chiesa greco-ortodossa dopo che i rappresentanti di Ue-Bce-Fmi, come riferiscono con evidenza i media locali, hanno rispolverato una vecchia proposta ventilata dal precedente governo socialista che prevede – nell’ambito delle drastiche riduzioni della spesa pubblica volute dai creditori internazionali del Paese – un taglio dei compensi, elargiti dallo Stato, dei circa 9.500 “pope” in servizio in tutta la Grecia.

Il governo greco sente il fiato sul collo dei creditori internazionali, i quali hanno fatto capire chiaramente che occorre tagliare senza indugi. Ma la pressante richiesta – come riferisce il quotidiano Parapolitika – è destinata a suscitare aspre polemiche e forti resistenze da parte degli ambienti religiosi e soprattutto del suo leader, l’influente arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronimos.

Secondo il giornale, i rappresentanti della troika hanno chiesto al governo conservatore del premier Antonis Samaras di riprendere in esame la proposta avanzata nel 2011 (e poi accantonata) all’esecutivo dell’allora premier socialista George Papandreou in base alla quale lo Stato dovrebbe smettere di pagare gli stipendi dei pope o, nella migliore delle ipotesi, condividerne il pagamento con la Chiesa.

Lo Stato ellenico, secondo i dati del Segretariato generale per gli Affari Religiosi, spende ogni anno circa 200 milioni di euro per pagare gli stipendi dei preti che si basano su queste tariffe: un pope di prima nomina guadagna 1.092 euro lordi al mese (770 netti), un prete con 10 anni di anzianità arriva a 1.381 euro lordi (1.032 netti), un vescovo metropolita con 30 anni di anzianità riceve 2.543 euro (1.750 netti) mentre l’arcivescovo Ieronimos prende 2.978 euro al mese (2.213 netti).

Un’eventuale riduzione del contributo statale, secondo Parapolitika, metterebbe la Chiesa di fronte al dilemma di aumentare la propria quota di partecipazione agli stipendi oppure cominciare a licenziare i pope, la maggior parte dei quali sono sposati e hanno figli.

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