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Il Regno Unito è fuori dall’Ue, boato in piazza a Londra

L'ora dell'uscita del Regno Unito dall'UE è scoccata. Keystone/AP/KIRSTY WIGGLESWORTH sda-ats

(Keystone-ATS) Il Regno Unito non fa più parte dell’Unione europea e la folla brexiteer riunita a Westminster Square esplode in un boato di giubilo, nel canto dell’inno nazionale, fra fuochi d’artificio slogan e una marea di Union Jack a sventolare sotto il cielo di Londra.

Il passaggio epocale, in cui la storia dell’isola e del continente hanno voltato pagina ammainando le rispettive bandiere, è stato segnato dal conto alla rovescia proiettato sulla facciata di Downing Street sullo sfondo dei colori del vessillo britannici: fino allo 0, scattato esattamente alle 23.00 ora locale, la mezzanotte in Svizzera. Poi si è udito il suono delle campane del Big Ben, ma solo in forma virtuale poiché l’originale è chiuso per restauro. Il countdown è stato proiettato a cifre cubitali pure sulle bianche scogliere di Dover, di fronte alla Manica e alle coste francesi.

Nelle piazze di Londra sono scesi dapprima, fra rimpianti e lacrime, gruppetti di remainer non pentiti, rappresentanza di una fetta ampia di paese che continua a masticare amaro. Poi i sostenitori della Brexit, molti provenienti da fuori Londra, e arringati dalle parole del pioniere Nigel Farage, radunatisi a decine di migliaia in serata fino a riempire Westminster Square, in barba alla pioggia, per far sventolare – tra fuochi, brindisi, inni e comizi – bandiere e simboli nazional-patriottici.

In un messaggio alla nazione il primo ministro Tory Boris Johnson ha fatto sfoggio di ottimismo e richiamato all’unità un paese profondamente lacerato, anche se in maggioranza forse sollevato dalla sensazione di aver dato almeno un primo taglio alle incertezze. Ha definito questo passaggio – comunque epocale – “l’alba di una nuova era”, che “non segna una fine, ma un inizio”. Ha rivendicato l’addio come “una scelta sana e democratica” sancita “due volte dal giudizio del popolo”, tanto nel 2016 quanto alle elezioni del dicembre scorso.

E ha esaltato le speranze di un rinnovato slancio all’interno, di un ruolo europeo e globale “indipendente” del Regno, ma anche di una “cooperazione amichevole” di buon vicinato con gli ex partner dell’Ue. In un contesto nel quale ha spronato i compatrioti a “scatenare il potenziale” d’una nazione che fu impero, a credere nel cambiamento come alla chance di un “clamoroso successo”. Non senza insistere sulla convinzione che la direzione intrapresa dal club europeo, pur “con tutte le sue ammirevoli qualità”, non fosse più adatta al destino britannico.

Parole accompagnate da toni di comprensione verso “il senso di ansia e smarrimento” di quella metà del paese che alla Brexit ha guardato come a un errore storico o a un azzardo. E dall’impegno del governo a cercare la strada per ricondurre ora il Regno “all’unità” in modo da poter guardare avanti “insieme”.

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