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Iraq: braccio di ferro Obama-generali

(Keystone-ATS) I bombardamenti in Siria non saranno una campagna “shock and awe” (colpisci e terrorizza), come avvenne in Iraq nel 2003 con una vera e propria tempesta di fuoco sul Paese. Assomiglieranno invece alle azioni mirate che più volte hanno permesso a caccia e droni statunitensi di colpire i terroristi in Yemen e in Somalia.

Barack Obama lo ripete più volte ai suoi generali, quelli con cui nella base di MacDill, in Florida, sede dello Us Central Command (Centcom), fa il punto sulla nuova offensiva contro l’Isis. E secondo le indiscrezioni non è stato un confronto facile per il presidente americano, da tempo impegnato in un braccio di ferro con i vertici militari. Un braccio di ferro che in questa fase riguarda due punti: quanto estesi devono essere i bombardamenti sul territorio siriano e quale ruolo devono avere le truppe Usa sul suolo iracheno.

Il comandante in capo, Obama, è stato chiaro sul primo e sul secondo punto: ogni singola missione in Siria dovrà avere la sua personale autorizzazione. E di soldati impegnati in missioni di combattimento – come aveva ipotizzato poche ore prima il capo di stato maggiore delle forze armate, Martin Dempsey – non se ne parla.

La Casa Bianca – racconta il Wall Street Journal – vuole avere “il massimo controllo” sui raid che i caccia americani si accingono a sferrare per colpire i santuari dello stato islamico in Siria. Questo per essere sicuri di limitare al massimo un coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra civile che da oltre due anni insanguina il Paese mediorientale. E anche per avere il meno possibile problemi col regime di Bashar al Assad, che non ha dato alcun via libera all’accesso di caccia americani nello spazio aereo di Damasco.

Spiegando la sua linea al generale Lloyd Austin (capo del Centcom e responsabile della campagna militare anti-Isis) e al generale Ray Odierno (ex “top commander” in Iraq e oggi capo di stato maggiore dell’esercito) Obama ha in mano il decreto segretamente firmato in questi giorni dal capo del Pentagono Chuck Hagel. Decreto che fissa i requisiti per l’azione americana in Siria. Paletti stringenti, molto più di quelli posti finora ai bombardamenti in Iraq (ben 174), dove lo Us Command che dirige le operazioni ha avuto maggiore libertà di azione.

C’è poi il capitolo truppe. Obama vuole che “no boots on the ground” (nessun uomo sul terreno) non diventi un tormentone smentito poi dai fatti. Per questo, poche ore dopo l’uscita del generale Dempesy in Congresso, ha ribadito con convinzione che “le forze americane dispiegate in Iraq non sono e non saranno coinvolte in missioni di combattimento”.

Lo ha ripetuto più volte ai generali Austin e Odierno, anche loro come Dempesy convinti che i raid non potrebbero non bastare, rendendo prima o poi necessario schierare i soldati Usa di stanza a Baghdad (al momento ci sono circa 1600 uomini) in missioni al fronte al fianco delle forze irachene.

Ma il Commander in Chief per ora tiene duro: deve essere e rimanere una campagna antiterrorismo, non una campagna militare.

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