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Isis, ansia per rapiti norvegese e cinese “in vendita”

(Keystone-ATS) Con un’inserzione pubblicitaria sulla propria rivista, con tanto di “vendesi”, l’Isis ha annunciato che ucciderà due ostaggi a meno che qualcuno non paghi per il loro rilascio.

Ma a fare rumore è più il silenzio finora mantenuto da Pechino sulla sorte del cittadino cinese in mano all’organizzazione dello Stato islamico (Isis) e l’annuncio di Oslo di non pagare alcun riscatto per la liberazione dell’altro ostaggio tenuto dai jihadisti.

Nell’ultimo numero della sua rivista in arabo e in inglese “Daqib”, l’Isis ha annunciato che prima di giustiziare Ole Ofstad, 48 anni, e Fan Jinghui (50) è pronta a venderli al miglior offerente. Dopo gli ostaggi ‘eccellenti’ americani, britannici e giapponesi decapitati dall’Isis nei mesi scorsi, è la prima volta che l’organizzazione jihadista afferma di avere un prigioniero cinese.

E se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ribadito più volte di non voler scendere a patti con i terroristi pagando riscatti, l’Isis ha in passato ottenuto danaro in cambio della liberazione di cittadini francesi, spagnoli e, forse, italiani. Quando il cooperante italiano Federico Motka, per mesi in mano all’Isis, è stato liberato nel maggio 2014, si parlò di sei milioni di euro sborsati dall’Italia ai jihadisti tramite la Turchia.

Ieri sera la premier norvegese Erna Solberg ha confermato che da quando Ofstad era stato catturato a gennaio ci sono stati contatti tra Oslo e l’Isis. Ma che i “sequestratori hanno avanzato una serie di richieste” tra cui “significative somme di riscatto”. “Non possiamo cedere e non cederemo alle pressioni di terroristi e criminali.

La Norvegia non paga riscatti”, ha affermato Solberg. Da parte cinese per ora ci sono soltanto alcune scarne dichiarazioni del portavoce del ministero degli esteri, secondo cui le autorità stanno lavorando per “verificare i dettagli del rapimento” e ribadendo che “il governo cinese si oppone in maniera netta a ogni tipo di violenza contro civili innocenti”.

La Cina, assieme a Russia e Iran, è saldamente a fianco del regime del presidente siriano Bashar al Assad. E il sostegno diplomatico – in sede di Consiglio di sicurezza Onu – di Pechino a Damasco ha consentito a lungo al governo siriano di sopravvivere di fronte all’insurrezione armata. L’assenza di una soluzione politica e diplomatica alla mattanza siriana ha contribuito all’espansione dall’Iraq alla Siria orientale dei jihadisti dello Stato islamico.

Tra le file dei miliziani Isis si contano inoltre un numero crescente di musulmani cinesi, provenienti per lo più dalla regione dello Xinjiang, da decenni in conflitto col potere centrale cinese. Di recente, l’Isis ha invitato i cinesi musulmani a combattere le forze “miscredenti” di Pechino unendosi allo Stato islamico.

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