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Israele: leva allargata, scricchiola coalizione governo

(Keystone-ATS) Traballa in Israele l’intesa fra i partiti della coalizione di centro-destra che sorregge il governo di Benyamin Netanyahu delineata nei giorni scorsi sulla ‘storica’ riforma della leva militare: riforma che dovrebbe assicurare un graduale coinvolgimento (almeno a livello di servizio civile) dei religiosi ebrei ortodossi, da sempre esentati, e di parte della minoranza araba, di fatto finora esclusa dalle stesse autorità.

La commissione incaricata di definire nei dettagli un testo comune ha infatti interrotto oggi i suoi lavori a causa dei contrasti fra la delegazione del Likud (il partito di Netanyahu, rappresentato nell’organismo dal vicepremier ed ex capo di stato maggiore Moshe Yaalon) e quella di Kadima, la formazione centrista cooptata di recente nella maggioranza dopo un paio d’anni d’opposizione, guidata dal deputato Yohanan Plesner.

Secondo quanto si è appreso, Yaalon avrebbe cercato di sfumare le proposte sostenute da Plesner sulla base del lavoro di un comitato parlamentare da questi presieduto nei mesi scorsi, onde evitare lacerazioni insanabili – all’interno del fronte delle destre – con i partiti confessionali ebraici che pure appoggiano Netanyahu. Mentre Kadima, schierato su posizioni più ‘laichè, avrebbe insistito per un testo più rigido.

Si è giunti così a una rottura che Netanyahu, dopo le esitazioni delle settimane passate, dovrà cercare di ricucire di nuovo nelle prossime ore, ma che alcuni deputati centristi considerano ormai difficilmente ricomponibile: tanto da suggerire al leader di Kadima e neovicepremier, Shaul Mofaz, di ritirare la delegazione dal governo e di aprire la crisi a costo di elezioni anticipate.

La questione della leva obbligatoria appare d’altronde assai spinosa. Condizionata com’è da un diffuso consenso della ‘maggioranza silenziosa’ del Paese a una qualche riforma, ma anche dalle resistenze potenzialmente ingestibili di circa un milione di ebrei religiosi Haredim (Timorati), oltre che di una buona fetta di quel milione e mezzo di arabi-israeliani che stentano a sentirsi cittadini a pieno titolo d’Israele.

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