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Israele non si fida, da Iran non bastano parole

(Keystone-ATS) Prove fornite dall’intelligence: sono quelle a cui dovrebbe ricorrere il premier israeliano Benyamin Netanyahu nel suo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite con l’intento di mostrare che l’Iran nonostante le parole e la faccia “gentile” del suo leader Hassan Rohani continua nella corsa alle armi nucleari e sostiene il terrorismo globale.

Sono queste alcune delle anticipazioni fatte dalla stampa israeliana (ma non solo) alla vigilia del viaggio di Netanyahu a New York, la cui missione appare difficile, visto l’attuale indubbio successo della diplomazia del sorriso inaugurata da Rohani e le conseguenti aperture degli Stati Uniti nei confronti del regime di Teheran.

Un compito – Netanyahu partirà in questo fine settimana e incontrerà anche il presidente Barack Obama – che ha anche l’obiettivo di impedire l’ipotesi isolamento in cui Israele, secondo la stampa, rischia di trovarsi sul dossier Iran. Senza dimenticare che alle Nazioni Unite ha parlato anche il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) rilanciando la sfida sui colloqui di pace in cui sono impegnate le parti.

Sull’Iran oggi il ministro israeliano delle relazioni internazionali Gilad Erdan, riproponendo la posizione di Netanyahu, ha ribadito di “temere che le centrifughe continuino a girare lontano da sguardi ‘indiscreti’, mentre quello che si vede è il ‘volto umano’ di Rohani e le parole piacevoli con le quali si è rivolto al popolo americano”.

Erdan non ha poi fatto mistero che le carte che Netanyahu intende usare nel suo intervento sono appunto “dati dell’intelligence” non conosciuti e in contrasto con il quadro presentato da Rohani a New York. Sono quindi – ha aggiunto il ministro – non le “parole”, ma le “azioni” di Teheran a dover dimostrare il cambio di politica del regime.

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