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Mo: ‘nove mesi per l’accordo’, ora si tratta davvero

(Keystone-ATS) “Un accordo di pace entro nove mesi è possibile”: il segretario di Stato americano, John Kerry, parla subito dopo la visita dei negoziatori israeliani e palestinesi alla Casa Bianca. E dalle sue parole traspare il cauto ottimismo con cui l’amministrazione Obama accoglie i primi passi concreti del negoziato apertosi formalmente a Washington, dopo oltre tre anni di gelo. Passi che – secondo gli osservatori più ottimisti – potrebbero portare entro la metà del prossimo anno alla nascita di uno Stato palestinese.

Il ministro israeliano Tzipi Livni e il rappresentante dell’Autorità Nazionale Palestinese Saeb Erekat, dopo un primo approccio nella cena di lunedì sera col capo della diplomazia Usa, hanno deciso di dare il via libera ufficiale alle trattative che tutto il mondo spera si concludano con una storica intesa, attesa invano da decenni. E hanno deciso una sorta di nuova road map: entro le due prossime settimane le parti si rivedranno – in Israele o nei Territori palestinesi – per cominciare a entrare seriamente nel merito delle tante e spinosissime questioni sul tavolo.

La precedenza – ha sottolineato anche il presidente dell’Anp Abu Mazen – va data ai due temi centrali sul tavolo: quello sui futuri confini dello Stato di Palestina, cui è legata il destino delle colonie israeliane ormai disseminate in territorio palestinese; e quello della sicurezza, caro sopra ogni alto a Israele e al governo Netanyahu. In seguito dovrebbero essere affrontati tutti gli altri nodi: dalla questione dei profughi palestinesi a quella delle risorse idriche nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Un cammino lungo e faticoso, con l’obiettivo però di chiudere la partita in meno di un anno.

Si tratta di un obiettivo che può sembrare ambizioso, ma il clima che si respira tra le parti sembra cambiato nelle ultime settimane, almeno dal punto di osservazione di Washington. Ancor di più negli ultimi giorni, soprattutto dopo la decisione del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, di liberare 104 prigionieri palestinesi reclusi in carcere da oltre 20 anni. Con Israele – ha riferito ancora Kerry – sarebbe pronto a fare alcune ulteriori concessioni già nei prossimi giorni, per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati, sia in Cisgiordania sia nella striscia di Gaza.

“Quello tra i negoziatori e il presidente Obama è stato un incontro molto positivo”, ha assicurato Kerry dopo la visita di Livni ed Erekat alla Casa Bianca. A testimonianza che almeno la buona volontà di dialogare c’è. Una buona volontà che il Quartetto per il Medio Oriente (Ue, Usa, Russia e Onu), in una nota, invita a non lasciar cadere, dando il suo pieno appoggio all’ennesimo tentativo di mediazione degli americani.

Del resto, per Kerry “non ci sono alternative”. “Le questioni sono tutte sul tavolo”, gli ha fatto eco Erekat, sottolineando come sia scoccata davvero l’ora che i palestinesi abbiano uno Stato. Un messaggio di fiducia arriva anche da Livni: “Credo – ha detto la delegata israeliana – che la storia non si fatta dai cinici, ma da chi si lascia guidare dal realismo e dalla buona fede”.

In Medio Oriente lo scetticismo di molti rimane intatto, ma ritorna almeno il desiderio di sognare la pace. E di sperare che finalmente questa possa essere la volta giusta.

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