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ONG: Consiglio federale rinegozi accordo libero scambio con la Cina

La petizione è stata inoltrata oggi dalle ONG. Persone con maschere uigure erano presenti su Piazza federale KEYSTONE/ANTHONY ANEX sda-ats

(Keystone-ATS) L’accordo di libero scambio con la Cina deve essere rinegoziato tenendo conto dei diritti umani. È quanto chiede una petizione inoltrata oggi al Consiglio federale con oltre 23’000 firme da un’alleanza di organizzazioni non governative.

Almeno un milione di Uiguri è detenuto in campi d’internamento nella provincia cinese dello Xinjiang e decine di migliaia sono costretti a lavorare in fabbriche, per conto di fornitori di grandi marchi internazionali, indicano l’Associazione Uiguri Svizzera, la Società per i popoli minacciati (SPM) e Campax in una nota congiunta.

A loro avviso, l’accordo di libero scambio sottoscritto tra Berna e Pechino non offre alcuna garanzia che i prodotti che giungono sul mercato svizzero non provengano dal lavoro forzato o da altre attività che violano i diritti umani. Tali prodotti beneficiano inoltre di agevolazioni doganali.

“Il Consiglio federale non deve semplicemente lasciarsi guidare da interessi economici con la Cina. La protezione dei diritti umani deve avere la priorità”, sottolinea la consigliera agli Stati e presidente della SPM Lisa Mazzone (Verdi/GE), citata nel comunicato.

“Per non rendersi complice di tali atti, la Svizzera deve rinegoziare l’accordo di libero scambio con la Cina. I diritti umani e le clausole contro il lavoro forzato devono chiaramente figurarvi”, precisa dal canto suo il presidente dell’Associazione Uiguri Svizzera, Andili Memetkerim.

“Stando al consigliere federale Ignazio Cassis, (…) la Svizzera deve riaffermare i suoi valori visto l’aumento delle violazioni dei diritti umani. Ci attendiamo dei fatti anziché delle parole”, gli ha fatto eco il consigliere nazionale Fabian Molina (PS/ZH), citato anch’egli nella nota.

Secondo le ONG, la crisi del coronavirus è l’illustrazione perfetta di quanto sul piano economico i Paesi europei si siano resi ampiamente dipendenti dalla Cina. A mo’ di esempio, la maggioranza delle mascherine utilizzate in Svizzera proviene da fabbriche cinesi. “È impossibile escludere che esse non dipendano dal lavoro forzato”, si legge nella nota. Lo dimostrerebbe una recente ricerca del New York Times.

Oltre che il rispetto dei diritti dell’uomo e l’introduzione di clausole vincolanti nell’accordo con la Cina, l’alleanza delle ONG chiede al Consiglio federale che i conflitti in materia di lavoro siano portati davanti a un tribunale arbitrale e che meccanismi di controllo, totalmente assenti nell’intesa, vengano attuati.

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