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Parigi spettrale all’indomani degli attacchi

(Keystone-ATS) Una città spettrale, in stato di guerra, con i cinema, i teatri, la stragrande maggioranza dei negozi sprangati. Il Louvre, l’Opera, il Musée d’Orsay, la Comédie francaise, la Tour Eiffel, i grandi magazzini dei Grands Boulevards.

All’indomani delle stragi, il centro di Parigi, quello che si preparava allo shopping natalizio del fine settimana, è avvolto da un agghiacciante clima di morte. Nei boulevards praticamente vuoti i pochi turisti ancora in giro sembrano l’ombra di loro stessi. Vagano come fantasmi, in questa parte di città solcata da un gelo spaventoso.

Cinesi, australiani, tedeschi, italiani… Molti cercano di far finta di niente. Di non sciupare questo maledetto week-end magari sognato da una vita. E però no, non è possibile. Quei pochi negozi rimasti aperti sono drammaticamente vuoti e fuori c’è solo un cielo grigio e pesantissimo come il piombo dei kalashnikov degli assassini jihadisti.

“È terrificante”, dicono Derek ed Emma, arrivati dagli Usa. Intorno alle Galeries Lafayette e al Printemps, i due grandi magazzini frequentatissimi dai turisti, sul Boulevard Haussmann, i militari con la mimetica e i fucili spianati sono di ronda davanti alle pesanti saracinesche chiuse.

“No foto, no foto”, dicono i militari ai pochi visitatori ancora in giro, dopo un ennesimo allarme bomba nella zona. Blindati anche l’Apple Store, i grandi cinema, la Comédie Francaise. Tutto il quartiere intorno all’Eliseo. “Di qui non si passa”, avverte un poliziotto a un gruppo di giapponesi spaesati e a una guida con l’ombrellino.

Anche negli alberghi di lusso come il Bristol o il Grand Hotel non si passa senza permesso. Alcuni passeggiano sugli Champs-Elysées. Ma salvo qualche farmacia è tutto praticamente chiuso, incluso il tradizionale mercatino di Natale.

Stesse scene a Montmartre, nei pressi della Basilica del Sacro cuore e poi a Saint-Germain-des-Près, con gli ampi viali solcati solo da un impressionante tappeto di foglie gialle. E poi il Louvre, “Fermeture exceptionelle”, “Chiusura eccezionale” come tutti i musei della capitale.

Impressionanti sono anche le immagini della Rue de Rivoli e dell’Avenue de l’Opera, due delle principali arterie del centro perennemente in preda agli ingorghi. Anche qui solo silenzio e desolazione, se non fosse per quel gruppo di balordi che inscena una rissa in mezzo alla strada.

Spettrale anche il piazzale del Musée d’Orsay normalmente invaso dai turisti. Davanti al Parlamento una lunga colonna di mezzi militari con il logo del piano antiterrorismo Vigipirate. “Per decisione del presidente dell’Assemblée nationale e del prefetto, gli ingressi sono sospesi”, si legge in un cartello lasciato davanti all’ingresso con i tricolori a lutto.

“È il viaggio più brutto della nostra vita. Siamo senza parole”, dice una coppia di turisti romani sotto alla Tour Eiffel. Tutto intorno solo Robocop dell’esercito e i led luminosi ai piedi degli ascensori: “Eiffel tower is closed”.

Un commando di poliziotti col fucile a pompa si rivolge a una turista in Burqa nero. “È vietato, se lo deve levare”. La tensione è altissima. Dopo lunghe trattative lei alla fine scopre il volto. Con il marito cominciano a farsi fotografare davanti alla Dama di Ferro. Non parlano francese e su quello che è successo ieri non arrivano commenti.

Nei quartieri dell’est parigino, i più toccati dagli attacchi di ieri, gli abitanti si sforzano di riprendere a vivere. I supermercati sono affollati di gente che fa la spesa per il weekend, la maggior parte dei negozi aperti. Ma l’atmosfera è surreale, quasi ovattata. Le voci sono più basse, i rumori fiochi, gli sguardi velati da un’ombra scura. Persino i chiassosi ragazzini che popolano i marciapiedi oggi sembrano più discreti, quasi attenti a non disturbare.

Lungo il boulevard che collega Belleville e Menilmontant, due aree ricche di bar e sale concerti, già alla mattina i caffè sono tutti aperti, tavoli e sedie schierati nei dehors. In uno, il proprietario sta ritto davanti alla porta d’ingresso, quasi in un gesto di sfida verso i terroristi che hanno voluto colpire la vitalità di questi quartieri. Gli avventori, però, sono pochi, i sorrisi stentati.

“Avrei dovuto esserci ieri sera, al Bataclan – racconta un ragazzone biondo – qualche settimana fa stavo per prenotare il biglietto. Poi un amico mi ha proposto un altro concerto e ho cambiato idea. Non oso immaginare”. Una ragazza, a un tavolino, rievoca la serata con un’amica, gli spari “sentiti dal divano, era proprio a fianco” della sua casa.

I numerosi concerti e jam session di musicisti locali o emergenti, marchio di fabbrica dei locali della zona, sono però in gran parte annullati. “Per rispetto”, dice qualcuno. Qualche centinaio di metri più in là, in un’enoteca, un gruppo di amici italiani si sono voluti dare appuntamento. Una di loro, con messaggi fin dal primo mattino, li ha chiamati a raccolta, scegliendo un locale che è tra i loro ritrovi preferiti, gestito da una coppia di bresciani.

“È importante per le persone ritrovare i loro posti, i punti di riferimento”, dice. E racconta la sua serata di ieri, chiusa nella pizzeria in cui lavora nei dintorni di Pigalle, con le luci spente per essere meno visibili attraverso le grandi vetrine.

“I ragazzi qui – dice ancora – stamattina non sapevano se aprire. Erano dubbiosi, volevano vedere che aria tirava. Ma alla fine si sono convinti”. Una decisione che è diventata una rivendicazione contro il terrore, rilanciata anche sulla loro pagina Facebook. “In qualche modo abbiamo deciso di esserci, perché è giusto così – scrivono – perché sarebbe una guerra persa non farlo. Barricarci al caldo non cambierebbe la situazione. Noi siamo aperti, come tutti”.

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