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Procura federale non persegue raffineria ticinese, ong deluse

(Keystone-ATS) Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha deciso di archiviare il procedimento penale avviato nel 2013 contro l’impresa ticinese Argor-Haereus, denunciata dalla ong Trial perché avrebbe raffinato oro “sporco” della Repubblica democratica del Congo (RDC).

Ne danno notizia oggi alcune organizzazioni non governative, dicendosi deluse del mancato perseguimento.

“Questa impunità incomprensibile illustra la necessità di obbligare le società elvetiche ad assicurarsi dell’origine dei prodotti che commercializzano”, commenta in una nota la Dichiarazione di Berna.

Secondo Trial (Track Impunity Always) e altre due ong cofirmatarie della denuncia, l’impresa ticinese avrebbe raffinato, tra il 2004 e il 2005, circa tre tonnellate di oro depredato nella RDC da una milizia armata, il Fronte nazionalista integrazionista (FNI), accusato di diversi massacri e sciolto nel 2005. L’oro sarebbe stato poi venduto a una società in Uganda che l’avrebbe a sua volta rivenduto a un’altra società con sede a Jersey (GB), la quale avrebbe infine incaricato la Argor-Heraeus di raffinarlo.

Dando seguito alla denuncia delle ong presentata a fine ottobre 2013, l’MPC aveva aperto un procedimento per eventuale riciclaggio di denaro e complicità in crimini di guerra. La Procura federale aveva fatto perquisire la sede della Argor a Mendrisio e ordinato una sorveglianza telefonica.

Nel suo decreto di abbandono emesso lo scorso marzo, l’MPC riconosce che Argor ha raffinato l’oro in questione e che “avrebbe dovuto sapere che l’oro grezzo fornito in provenienza dall’Uganda molto verosimilmente era stato depredato nel Congo orientale”. Questo “avrebbe dovuto” non basta tuttavia per confermare l’accusa di complicità in crimini di guerra, e neppure quella di riciclaggio, secondo la Procura federale.

“Incoraggiamento della politica dello struzzo”

L’archiviazione del procedimento è “un incoraggiamento della politica dello struzzo”, titola Trial il suo comunicato di reazione. Secondo la Dichiarazione di Berna, l’impunità concessa alla Argor è “un invito ufficiale ai raffinatori e ad altre società sottoposte alla legge sul riciclaggio di denaro a ignorare le informazioni che potrebbero condurle a scoprire affari problematici o a pretendere che non ne erano a conoscenza”. Essa è anche “una nuova prova dell’insufficienza delle misure volontarie” per prevenire l’introduzione dei circuiti commerciali di materie prime “sporche, ossia illegali o illegittime”.

Il caso Argor – affermano Trial, la Dichiarazione di Berna e la Società per i popoli minacciati – mostra che l’applicazione di questi codici di condotta volontari, per quanto appaiano severi sulla carta, rimane assai relativa e si scontra sempre con la logica dei profitti che detta le scelte delle società. E soprattutto che la violazione dei codici stessi non è punita.

Per proteggere l’integrità della Svizzera – aggiunge la Dichiarazione – è necessaria una legge che obblighi le società a conoscere l’origine dei prodotti che vende e che questi non siano ottenuti o fabbricati violando i diritti umani o norme ambientali. Queste rivendicazioni sono formulate nell’iniziativa popolare “Per imprese responsabili” annunciata in gennaio e lanciata in aprile da 65 organizzazioni svizzere, tra cui la stessa Dichiarazione. La scadenza per la raccolta delle firme è stata fissata al 21 ottobre 2016.

L’azienda ticinese, una della cinque maggiori raffinerie del mondo, aveva già respinto nel 2006 accuse analoghe, formulate da esperti delle Nazioni Unite, e a Berna l’allora Segretariato (oggi Segreteria) di Stato dell’economia (Seco) le aveva dato ragione, affermando che gli addebiti non poggiavano su nulla di solido.

Contattata lo scorso novembre dall’ats per una reazione alla denuncia delle ong, l’azienda aveva respinto “con vigore ogni accusa per fatti per cui era già stata ritenuta estranea dalle indagini di approfondimento condotte da ONU, Seco e Finma” (Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari).

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