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Safari al Festival di Venezia, le bestie feroci siamo noi

Questo era Cecil, prima che venisse ucciso nel 2015. KEYSTONE/EPA ZIMPARKS/ZIMBABWE PARKS AND sda-ats

(Keystone-ATS) Molto interesse alla mostra del Cinema di Venezia per il documentario fuori concorso Safari.

L’anno scorso le foto di un dentista del Minnesota, che posava sorridente vicino al suo trofeo, la carcassa di Cecil, leone simbolo del parco nazionale Hwange in Zimbabwe, prima ferito con una freccia e finito dopo 40 ore di agonia, aveva causato sdegno e attirato l’attenzione sui trophy hunters, borghesi che vanno a fare i cacciatori per hobby nella savana. Ora ce li racconta con la sua ironia nera Ulrich Seidl in Safari.

“Mi interessava mostrare cosa provassero queste persone andando a caccia e raccontare le relazioni umane in quella prospettiva’ dice in conferenza stampa. Il regista austriaco, amato da molti cinefili (all’apparizione del suo nome nei titoli di testa, durante la proiezione stampa, è scattato un lungo applauso), segue le giornate in una riserva di caccia, in Namibia, di alcuni austriaci e tedeschi.

Da una coppia di anziani che si arrostisce al sole e consulta le offerte su un catalogo di animali a una famiglia, padre, madre e due figli ventenni, che ad ogni animale ucciso (un cobo, una zebra e una giraffa, che agonizza davanti al suo uccisore) festeggiano con baci e abbracci. ”Cerco di non giudicare mai i miei soggetti, né di dare un’interpretazione, è lavoro dello spettatore – dice il provocatorio autore di Canicola e la trilogia ‘Paradise’ – C’è il mio sguardo ironico, ma la base è filmare la realtà”.

Un cacciatore ”spende in una settimana quanto un turista in due mesi’ sostiene uno degli ‘ospiti’ nel film. Un’attività lecita, ribadisce in conferenza stampa Eric Muller, guida professionista che vediamo in Safari: ”la caccia è percepita negativamente, ma la nostra è una gestione sostenibile degli animali. Veniamo controllati dal governo, e svolgiamo un’azione utile, uccidendo animali vecchi e malati”.

Quello che vediamo però è un mondo bianco privilegiato d’eredità coloniale a cui fa da contraltare quello dei lavoratori neri, rappresentato senza voce: dagli ‘scout’ delle prede, agli addetti al macello, dove gli animali vengono scuoiati e squartati. ”Mostro questi lavoratori senza voce, perché non ce l’hanno in quella realtà – sottolinea il regista – non devono ricevere domande e non gli si deve parlare”.

Come ha convinto i ‘cacciatori per hobby’ ad apparire nel film? ”Non faccio mai fare ai miei soggetti qualcosa che non vogliono. Sono orgogliosi di ciò che fanno” spiega. Il loro è ”un rapporto di forza rispetto al mondo animale” aggiunge Veronika Franz, cosceneggiatrice e moglie di Seidl. Mostrano, secondo il cineasta, ”una brama di potere attraverso la passione per la caccia e l’atto d’uccidere”.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

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