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Senza l’olfatto quasi ogni aspetto della vita è condizionato

C'è chi ha naso e chi purtroppo non l'ha più. Nella foto: l'ex ministra tedesca della sanità Ulla Schmidt. KEYSTONE/AP/JAN BAUER sda-ats

(Keystone-ATS) La perdita del senso dell’olfatto, collegata a diverse malattie, incluse quelle della vecchiaia, condiziona quasi ogni aspetto della vita: dall’inappetenza fino alla rottura delle relazioni sociali.

A rivelare gli impatti emotivi e pratici di un problema che potrebbe interessare 5 persone su 100 è uno studio pubblicato su Clinical Otolaryngology.

I disturbi dell’odorato sono dovuti a molte cause, dalle infezioni delle vie respiratorie a lesioni nervose, da malattie neurologiche come Alzheimer e Parkinson all’effetto collaterale di alcuni farmaci. Ricerche precedenti avevano dimostrato che chi ne soffre “riferisce alti tassi di depressione e ansia, abbiamo quindi voluto sapere di più” sulle conseguenze di un problema che, in misura diversa, “colpisce il 5% della popolazione”, spiega il primo autore, Carl Philpott.

I ricercatori della University of East Anglia, un ateneo inglese, hanno pertanto intervistato 71 persone tra 31 e 80 anni, afferenti alla clinica Odori e Sapori della James Paget University, a Gorleston-on-Sea, nel Regno Unito. Ne è emerso che tali pazienti sperimentano problemi di intimità sessuale, perdita di appetito e peso (se non si percepiscono gli odori non si percepiscono neanche i sapori) e sono inoltre esposti a maggiori rischi come mangiare carne andata a male, bere latte acido, non percepire l’odore di una fuga di gas o del fumo di un incendio.

“I partecipanti allo studio avevano perso interesse nella preparazione dei cibi e alcuni hanno detto che erano imbarazzati a cucinare per parenti e amici, con un impatto sulla loro vita sociale”. L’incapacità di collegare gli odori ai ricordi felici era un problema e l’igiene personale era “un grande motivo di imbarazzo, perché non sentono il proprio odore”. Tutti questi problemi hanno portato a rabbia, ansia, frustrazione, isolamento. I ricercatori sperano che i risultati possano “aiutare i medici a offrire migliore comprensione e supporto a questi pazienti”.

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