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Si vota in Wisconsin, Trump rilancia sul muro

(Keystone-ATS) Se il Messico non pagherà il muro contro l’immigrazione lo pagheranno i messicani immigrati in Usa con le loro rimesse: è la ‘rappresaglia’ minacciata dal frontrunner repubblicano Donald Trump nel giorno delle primarie in Wisconsin.

Con le prime sedie vuote ad un suo comizio e in calo di tre punti nei sondaggi nazionali (da 48% a 45%) dopo la sua “peggiore settimana” elettorale, costellata di gaffe che l’hanno indotto a far scendere in campo la moglie Melania per recuperare almeno l’elettorato femminile, oggi il tycoon non ha trovato di meglio che rilanciare in modo ancora più controverso la sua proposta di un muro anti immigrazione: se il Messico non pagherà i costi, dai 5 ai 10 miliardi di dollari, ha minacciato, modificherà la legge anti terrorismo Patriot act per tagliare i miliardi di dollari di rimesse degli immigrati messicani.

Un’uscita alla quale Barack Obama ha subito replicato: “il nostro Paese ha problemi importanti da risolvere. E la gente vuole un presidente che tratti i problemi seriamente, non proposte raffazzonate e improbabili”. Il presidente Usa ha quindi aggiunto di ricevere “di continuo” domande dai leader stranieri “su alcune delle proposte più bizzarre e stravaganti che vengono avanzate nel corso della campagna elettorale per le presidenziali americane”. Idem il segretario di Stato John Kerry, che ha definito “imbarazzanti” le “follie” di Trump.

In Wisconsin i sondaggi danno in vantaggio, di almeno 5 punti, il suo più diretto rivale, il senatore ultraconservatore del Texas Ted Cruz, beniamino dei Tea Party, che qui hanno la loro culla. L’establishment del partito sta facendo quadrato su di lui, in gran parte strumentalmente: non ama neppure Cruz, ma lo vede come l’unico modo per stoppare il tycoon e arrivare ad una convention ‘aperta’.

Trump deve fare i conti con tre numi tutelari del Grand Old Party, tutti di casa in Wisconsin: Reince Priebus, presidente nazionale del partito repubblicano, Paul Ryan e Scott Walker, governatore locale e candidato presidenziale costretto al ritiro proprio dalle performance del magnate. I delegati in palio per i Gop sono solo 42, assegnati con metodo maggioritario (una parte collegio per collegio, una parte sul totale statale).

I democratici si contendono invece 96 delegati con metodo proporzionale. I sondaggi danno Bernie Sanders avanti di poco, in uno stato che lo favorisce anche demograficamente. Dopo aver strappato due stati vicini (Michigan e Minnesota), il senatore del Vermont la scorsa settimana si è aggiudicato i caucus nello stato di Washington, alle Hawaii e in Alaska, galvanizzando i suoi elettori e continuando ad attrarre finanziamenti (oltre 40 milioni di dollari in marzo contro i 30 di Hillary Clinton).

Vincere con un piccolo margine non cambierebbe molto per lui sul piano matematico, lasciando pressoché invariato il suo svantaggio nel numero dei delegati. Ma sul piano psicologico otterrebbe una ulteriore spinta in vista delle prossime sfide, che deve assolutamente stravincere se vuole continuare a correre: la prima è New York (19 aprile), con 247 delegati.

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