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Siria: USA contro Russia mentre la carneficina continua

(Keystone-ATS) Niente da fare. La diplomazia internazionale non riesce a intravedere alcuno spiraglio per fermare il conflitto siriano e continuano essere le armi di ribelli e governativi a contendersi Damasco, Aleppo, Homs, Daraa, strada per strada, casa per casa, tra raid aerei, esecuzioni sommarie, attentati.

Nel giorno in cui il nuovo mediatore internazionale, il diplomatico algerino Lakhdar Brahimi, arriva per la prima volta al Cairo dal conferimento dell’incarico per un missione definita “impossibile”, viene ribadita l’incolmabile distanza tra Stati Uniti e Russia sul futuro del Paese.

“Dobbiamo essere realistici – ha detto la segretaria di Stato Hillary Clinton dopo gli incontri con il presidente russo Vladimir Putin e il suo collega Serghiei Lavrov a margine del vertice APEC a Vladivostok – non la vediamo allo stesso modo sulla Siria. Ed è possibile che continui così”. Per essere più precisa, Clinton ha sottolineato che Washington continuerà a lavorare con i Paesi che condividono la sua visione e ad appoggiare l’opposizione siriana nella sua lotta contro il presidente Bashar al Assad.

Al quale, il generale Mustafa al-Sheikh, capo del consiglio militare dell’Esercito libero siriano (Esl), non dà più di 4 mesi di vita, che sono “il tempo massimo se consideriamo i danni irreversibili che abbiamo inflitto all’esercito regolare e il morale sotto i tacchi dei suoi ufficiali”. Ottimisticamente, aggiunge il generale, “potremo rovesciare il regime anche in due mesi”.

La spiegazione, secondo al-Sheikh, è politica e militare. Da una parte l’unità dell’opposizione armata, dall’altra l’incapacità dei governativi a combattere con le forze di terra nelle città, “con l’eccezione di Damasco”, visto che l’esercito riesce ad attaccare solo per via aerea o con i tank.

Sapere chi controlla che cosa, al 19/mo mese di guerra, anche con un certo grado di approssimazione, è praticamente impossibile. E la conta dei morti è scandita ogni giorno solo dai ribelli, secondo i quali oggi un raid aereo contro un quartiere di Aleppo – dove da ieri manca anche l’acqua – ha provocato decine tra morti e feriti.

La tv ufficiale ha invece accusato un “gruppo terrorista” di un attentato contro un bus sulla strada tra Homs e Massyaf, nel centro della Siria, che ha provocato quattro vittime.

In totale, secondo il presidente dell’Osservatorio siriano per i diritti dell’Uomo, Rami Abdel Rahmane, le violenze in Siria hanno provocato la morte di 27’379 persone. Il 70 per cento, 19’499, erano civili, molti dei quali avevano preso le armi. Sono stati uccisi inoltre 1113 disertori e 6767 governativi.

Un puzzle difficile da comporre e il successore di Kofi Annan si muove con cautela anche alla luce dell’ulteriore affermazione odierna di Hillary Clinton, che ha sottolineato l’inutilità di una risoluzione dell’ONU che non comporti “conseguenze” per Damasco perché il presidente Assad la ignorerebbe.

Domattina Brahimi – che ritiene “indispensabile” il sostegno della comunità internazionale per la ricerca di una soluzione – incontrerà il segretario della Lega Araba Nabil al-Arabi. Poi, quando si sarà chiarito le idee e saranno messi a punto i dettagli, andrà a Damasco. Con molte buone intenzioni e poche speranze.

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