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Sudafrica: mercoledì prime elezioni senza Mandela

(Keystone-ATS) Il Sudafrica, per la prima volta nella sua giovanissima storia di democrazia iniziata nel 1994, mercoledì andrà alle urne per eleggere l’Assemblea nazionale senza la rassicurante presenza di Nelson Mandela.

La scomparsa di Madiba ed i rimpianti che ne hanno accompagnato il lento crepuscolo non toccheranno certo l’esito delle consultazioni, alle quali l’African National Congress si avvicina forte dei sondaggi che lo accreditano del sessanta per cento dei voti. Cosa che dovrebbe dargli la maggioranza assoluta dei seggi e con essa la certezza di un nuovo mandato per Jacob Zuma già il 21 maggio, nonostante le ombre che si sono addensate sul presidente per presunti eccessi e stravaganze nella sfera personale e per le accuse manifeste di cesarismo, unito ad un esercizio spregiudicato delle prerogative e delle immunità che la Costituzione gli attribuisce. Una situazione che potrebbe accentuare il fenomeno dell’assenteismo che ha fatto sì che nel 2009 a votare andasse il 56 per cento degli iscritti alle liste contro l’85 per cento del 1994.

Lo scontro politico con l’opposizione – guidata soprattutto dall’Alleanza democratica, capeggiata dalla battagliera Helen Zille – non sembra avere modificato il quadro generale. L’Anc (che resta pur sempre il movimento che ha abbattuto l’apartheid) catalizza il massimo dei consensi pur se il Paese resta ancora in attesa delle promesse riforme che, se e quando ci sono state, sembrano solo avere contribuito non a cancellare diseguaglianze, ma a crearne altre, determinando la nascita di nuove classi dirigenti, economiche più che politiche. È forse per questo che il programma che l’Anc ha proposto ai sudafricani per ottenerne il consenso verte appunto sulla precisa volontà di appianare i contrasti sociali, varando una serie di leggi mirate ad aprire l’economia nazionale a chi, oggi – neri, indiani e meticci -, ne sembra in gran parte escluso. Una enunciazione di principio giusta ed auspicabile, se non si considera che in vent’anni di potere assoluto l’Anc ha certamente fatto, ma non nella misura che la gente si attendeva.

L’emarginazione e con essa la violenza restano problemi irrisolti e poco o nulla sembra avere alleviato il disagio sociale di milioni di persone che restano ben distanti dai centri di potere, ma anche da una vita appena decente. Come testimoniano le centinaia di migliaia di famiglie che vivono ancora nelle turbolente e degradate township senza la prospettiva reale di potersene allontanare. Questo in un Sudafrica dove il quaranta per cento dei cittadini è senza un lavoro o ha ormai smesso di cercarlo. Tacendo, poi, del fenomeno della massiccia immigrazione in maggioranza illegale dagli altri poverissimi Paesi della regione, per i quali il Sudafrica è la terra promessa. La sensazione che si coglie è che i vertici dell’Anc siano convinti che niente e nessuno potrà mai scalfire il potere di cui Mandela, anche quando si allontanò dalla vita politica attiva, fu, suo malgrado, il più potente testimonial. Ma il Sudafrica di oggi resta un Paese ostaggio delle sue contraddizioni confermate dal fatto che, insieme a quelle figlie della storica ricchezza dei bianchi, si sono affermate nuove classi nere agiate che, cogliendo tutte le opportunità di un rand solido e rispettato, hanno precipitosamente abbandonato le tradizioni per approdare ad un nuovo lifestyle, fatto di scuole e sanità private e di lusso, case hollywoodiane guardate a vista giorno e notte da arcigne guardie.

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