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Svolta in Francia: “gli autisti di Uber sono dipendenti”

La Corte di Cassazione francese ha riconosciuto lo status di lavoratore subordinato, e quindi di dipendente a tutti gli effetti e non più autonomo, a uno degli autisti che da più tempo prestava servizio per il gruppo statunitense Uber in Francia. KEYSTONE/AP The Canadian Press/DARRYL DYCK sda-ats

(Keystone-ATS) La Corte di Cassazione francese ha riconosciuto lo status di lavoratore subordinato, e quindi di dipendente a tutti gli effetti e non più autonomo, a uno degli autisti che da più tempo prestava servizio per il gruppo statunitense Uber in Francia.

n Francia l’autista di Uber dovrà presto venire considerato come un dipendente a tutti gli effetti. In una sentenza storica, la Corte di Cassazione di Parigi, massima giurisdizione, ha infatti imposto di riconoscere lo status di lavoratore subordinato, e dunque non più autonomo, a uno degli chauffeur che da più tempo prestava servizio per il gruppo Usa in Francia.

Una decisione, quella dell’Alta Corte parigina, destinata a fare giurisprudenza, con la speranza di ovviare una volta per tutte alla situazione di precarietà in cui versano gli autisti di Uber, almeno per quanto riguarda quelli che lavorano a Parigi e in altre città di Francia. E chissà che la sentenza non possa avere presto un impatto anche in altri Paesi europei.

Commentando la decisione ai microfoni di radio Europe 1, la ministra del Lavoro, Muriel Pénicaud, ha annunciato l’avvio di una tavolo per fornire una serie di “proposte entro l’estate” per ovviare all’attuale situazione.

In un post pubblicato su Twitter, Steve Salom, il manager generale responsabile di Uber per Francia, Svizzera e Austria, ha invece difeso la compagnia. Assicurando che “la grande maggioranza degli autisti scelgono l’indipendenza, la flessibilità e il fatto di poter guadagnare soldi trasportando una persona da un punto A ad un punto B. Possono usare l’applicazione Uber se e quando lo vogliono e possono lavorare con altre applicazioni e avere la propria clientela privata. Negli ultimi due anni, abbiamo operato molti cambiamenti per fornire agli autisti ancora più controllo sul modo in cui usano l’applicazione. Continueremo ad ascoltarli e fornire nuovi miglioramenti”, ha assicurato.

La sentenza arriva come ultimo grado di giudizio nel procedimento e quindi ora Uber non potrà ricorrere più contro la decisione dei giudici.

Il caso risale al 2017 quando la compagnia con sede a Chicago decise di disattivare l’account dell’ormai navigato autista impedendogli di ricevere segnalazioni sulle corse: a quel punto lui ha denunciato la società e nel 2019 è giunta la sentenza della Corte d’Appello di Parigi secondo la quale quello tra l’autista e la compagnia era un contratto di lavoro subordinato e non autonomo, in quanto il lavoratore doveva essere collegato alla piattaforma per lavorare e questa condizione lo rendeva di fatto “dipendente”.

La Cassazione conferma adesso quella decisione ribadendo che gli autisti “non organizzano autonomamente la propria clientela, non possono fissare liberamente le proprie tariffe e non stabiliscono autonomamente le modalità di esecuzione del proprio lavoro”.

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