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TF: congedo paternità, non si può invalidare referendum

I sostenitori del referendum contro il congedo paternità possono sorridere. KEYSTONE/MARCEL BIERI sda-ats

(Keystone-ATS) È fallito il tentativo del Partito socialista neocastellano (PSN) e di tre privati di far invalidare il referendum contro il congedo paternità di due settimane. Il Tribunale federale (TF) non è entrato in materia sul ricorso.

In una sentenza del 24 marzo, svelata oggi dal PSN, l’alta corte sottolinea che le decisioni della Cancelleria federale riguardo alla riuscita di un referendum non possono essere attaccate tramite un ricorso. Ciò è possibile solo in caso contrario, ovvero di non riuscita.

Secondo le considerazioni dei giudici losannesi, la formulazione della legge è cristallina e non lascia spazio a interpretazioni. Per questa ragione, il TF non è nemmeno entrato in materia.

Il ricorso del partito si basava sui presunti metodi illeciti e ingannevoli usati durante la raccolta firme. I fatti sarebbero accaduti in varie stazioni della Romandia. Già durante la campagna si era parlato di argomenti fuorvianti usati dai sostenitori del referendum, che alla fine, in gennaio, sono riusciti a consegnare 55’120 sottoscrizioni, di cui 54’489 ritenute valide dalla Cancelleria. Sull’oggetto sarà dunque chiamato ad esprimersi il popolo.

In un comunicato odierno, il PSN prende atto della decisione del TF, ma “non nasconde il proprio disappunto”. Deplora in particolar modo il fatto che nessuna autorità abbia potuto chinarsi a fondo sul problema sollevato.

Stando ai socialisti neocastellani “una tale lacuna significa che ogni individuo può lanciare un referendum ed elaborare dei metodi di raccolta firme fraudolenti”. Il partito aggiunge di star riflettendo a soluzioni per colmare questo vuoto legislativo. Si sta valutando la possibilità di agire a livello federale.

Sulla questione, a livello generale, si è già espresso anche il Consiglio federale. Rispondendo a una mozione del consigliere nazionale Baptiste Hurni (PS/NE), a febbraio il governo ha dichiarato di non vedere la necessità di introdurre una norma penale per punire il ricorso a metodi illeciti nella raccolta di firme per referendum o iniziative.

(Sentenza 1C_134/2020 del 24 marzo 2020)

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