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Thailandia: bombe in un ipermercato nel sud musulmano

Il luogo dell'attentato KEYSTONE/EPA/STR sda-ats

(Keystone-ATS) Prima un ordigno minore nascosto in un motorino; poco dopo, un’autobomba esplosa all’esterno di un popolare ipermercato.

Il doppio attentato avvenuto oggi pomeriggio nella provincia di Pattani, nell’estremo sud-est della Thailandia, ha causato 56 feriti di cui alcuni in gravi condizioni.

E anche se una rivendicazione ancora manca, l’attacco – il più grave da inizio anno – ripropone una dinamica familiare in un’area dove dal 2004 una guerriglia separatista islamica ha causato oltre 6’500 morti.

La doppia esplosione è avvenuta nel distretto di Meuang, con i due ordigni scoppiati a venti minuti di distanza poco dopo le 14 locali (le 9 in Svizzera), nel parcheggio dell’ipermercato “Big C”, una nota catena presente in tutto il Paese. Parte della facciata è stata distrutta, in particolare nel tratto dietro al quale si trovava l’area ristoranti, e alcuni veicoli nel parcheggio hanno preso fuoco.

Un video, ripreso da qualcuno nella folla che si era radunata all’esterno spaventata dalla prima esplosione, mostra il momento della potente deflagrazione qualche decina di metri più in là, una palla di fuoco sotto un tendone vicino all’entrata.

La bomba era stata collocata in una borsa all’interno di un pick-up che è stato completamente sventrato. Tra i feriti, secondo i media thailandesi, ci sono numerosi bambini (le scuole sono ancora in vacanza), e l’ospedale di Pattani lamenta il bisogno urgente di donazioni di sangue. Finora non sono stati segnalati stranieri tra i feriti; l’area, dopotutto, non è turistica ed è anzi sconsigliata da numerose ambasciate straniere.

Al momento l’attentato non è stato rivendicato, e in passato attacchi simili sono rimasti tali. Le autorità, tradizionalmente preoccupate di mostrarsi subito in controllo della situazione, hanno escluso la matrice del terrorismo islamico internazionale. Pattani, fino a inizio Novecento un sultanato indipendente incluso poi nell’allora regno di Siam, è tuttavia una delle province “ribelli” del sud della Thailandia a grande maggioranza buddista. La popolazione locale è in gran parte musulmana di etnia e lingua Malay, e alberga da decenni ambizioni separatiste che dal 2004 sono sfociate in una catena di violenze a opera di oscuri gruppi ribelli. Le loro rivendicazioni sono rimaste finora politiche, senza apparenti legami con la causa degli estremisti islamici nel Medio Oriente.

Lo stillicidio di agguati e attentati a opera dei separatisti colpisce in particolare membri delle forze di sicurezza, presenti massicciamente nell’area. Numerose esplosioni minori avvengono in aree poco popolate, quasi a voler lanciare un segnale. Le autobomba sono meno comuni, ma quella di oggi non è la prima: secondo i media, è la numero 48 dal 2004.

Dal punto di vista politico, nonostante negoziati di pace a più riprese, la situazione è in sostanza ferma. Le autorità di Bangkok escludono qualsiasi forma di autonomia e tendono a ridurre le violenze a una questione di criminalità locale, e la maggioranza dei thailandesi guarda alla regione come a un’enclave pericolosa e aliena dal resto del Paese. I ribelli sono divisi in diversi movimenti, e un gruppo-ombrello col quale il governo porta avanti delle trattative a singhiozzo non ha probabilmente la forza di imporre le sue decisioni alle frange più giovani sul campo. In tale impasse, periodicamente la violenza riesplode.

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