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Thailandia: sale il bilancio delle vittime

(Keystone-ATS) BANGKOK – Altri tre civili uccisi, oltre a quattro feriti nei due giorni precedenti che non ce l’hanno fatta. La terza giornata di guerriglia urbana a Bangkok è stata meno cruenta delle prime due, ma la determinazione dei militari sta logorando la resistenza delle “camicie rosse”, che ora – dopo 31 morti e oltre 230 feriti, per un totale rispettivamente di 61 e circa 1’300 dall’inizio della protesta – chiedono di fermare la violenza e tornare ai negoziati, magari con la mediazione dell’Onu. La risposta del governo però è stata: “Arrendetevi”.
All’esterno del bivacco dei “rossi”, nelle stesse aree – Din Daeng e lo stradone Rama IV – dove si sono verificati i peggiori scontri venerdì e sabato, militari e manifestanti sono entrati in contatto sporadicamente, quando gruppi di dimostranti hanno cercato di far avanzare le loro barricate di pneumatici, lanciando petardi e razzi artigianali verso le linee dell’esercito. Rispetto ai primi due giorni, i militari sono sembrati più misurati nell’aprire il fuoco; tuttavia, non esitano a sparare non appena i dimostranti mostrano di volersi avvicinare.
“Non vogliamo altri morti: chiediamo all’esercito di fermare le uccisioni”, ha detto Nattawut Saikua, uno dei leader. Poco prima un altro capo, Jatuporn Prompan, aveva invocato un intervento del re, “la nostra unica speranza”. Parole che rivelano la nuova posizione di debolezza dei fedeli dell’ex premier Thaksin Shinawatra, che una settimana fa erano a un passo dall’accettare elezioni anticipate, ma hanno fatto saltare la proposta del primo ministro Abhisit Vejjajiva con nuove richieste.
Con la situazione sul campo in sostanziale stallo, pur respingendo la richiesta di negoziato, le autorità cercano ora di prendere tempo, stringendo anche finanziariamente il cerchio attorno alla protesta. Dopo aver ordinato la chiusura degli uffici pubblici a Bangkok nei prossimi due giorni – gli spostamenti nel centro rimangono problematici e diverse aree continuano a essere off-limits – la task-force militare che gestisce la crisi (Cres) ha annunciato di aver congelato i fondi di 106 società o persone collegate a Thaksin, considerato il finanziatore a distanza della protesta.

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