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Turchia: stop diritti umani. Censure e arresti

Erdogan senza più freni KEYSTONE/AP POOL Presidency Press Service/KAYHAN OZER sda-ats

(Keystone-ATS) Insieme allo stato d’emergenza, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sospende la Convenzione europea per i diritti umani. Dopo le 60’000 persone cacciate e le 10’000 arrestate in meno di una settimana, una nuova mossa allarma il mondo.

“Come ha fatto la Francia”, si affretta a sottolineare il vicepremier e portavoce del governo, Numan Kurtulmus, assicurando che Ankara spera di poter revocare lo stato di emergenza già dopo “40-45 giorni”. Ma le purghe del dopo-golpe fanno pensare che il presidente turco sia pronto a utilizzare i nuovi poteri per reprimere ancora i suoi oppositori.

Ratificato oggi pomeriggio dal Parlamento, lo stato d’emergenza potrà essere imposto per 3 mesi in tutto le 81 province della Turchia. Una misura che in passato era stata usata dalla giunta militare golpista del 1980 e per le operazioni militari contro il Pkk curdo nel sud-est. Adesso, Erdogan potrà decidere nuove misure draconiane: dalla restrizione della libertà di movimento al divieto di manifestare, dalla censura a media e tv alla limitazione della libertà di associazione. Il governo ha invece escluso al momento l’imposizione di un coprifuoco a livello nazionale. Lo stato d’emergenza servirà “solo per combattere i terroristi e non influenzerà la vita quotidiana dei cittadini, né l’economia”, promette Ankara. Ma i timori restano forti. “In circostanze come queste c’è una reazione impulsiva. Abbiamo bisogno che i mercati capiscano che sopravviveremo a questo shock”, prova a rassicurare il vicepremier Mehmet Simsek, voce di riferimento per le strategie economiche della Turchia, dopo il downgrading da parte delle agenzie internazionali.

Oggi, però, sono proseguiti gli arresti e le epurazioni. In manette sono finiti 384 soldati impegnati nella guerra al Pkk nel sud-est e almeno altri 32 giudici, oltre a Orhan Kemal Cengiz, noto giornalista e avvocato per i diritti umani. Arrestato anche uno dei componenti del commando che tentò di catturare il presidente Erdogan nell’hotel di Marmaris, che si era dato alla macchia. I militari detenuti sono finora 6.823, ma più di mille sono ancora in fuga, ufficialmente disertori.

Intanto, continuano a emergere retroscena del golpe fallito. Secondo fonti iraniane, l’intelligence russa avvertì gli 007 turchi di un tentativo di putsch in preparazione, dopo aver intercettato alcune conversazioni sospette e messaggi radio in codice, probabilmente dalla sua base aerea a nord di Latakia, in Siria. Proprio il riavvicinamento a Vladimir Putin e il possibile cambio di rotta in politica estera di Erdogan, specie sulla Siria, sarebbero stati “una causa importante che ha spinto vari stati stranieri a provocare e sostenere l’esercito nell’organizzare il golpe”. Una ricostruzione non confermata ufficialmente dal Cremlino, ma che dà fuoco alle polveri dopo che ieri lo stesso Erdogan aveva ipotizzato pubblicamente un ruolo di “altri Paesi” nella manovra eversiva.

Nella notte del golpe fallito, gli insorti avevano anche in mente di sequestrare, e forse uccidere, il leader del Pkk Abdullah Ocalan, detenuto nell’isola-prigione di Imrali sul mar di Marmara, al largo di Istanbul. Il piano, svelato da 12 colonnelli arrestati, prevedeva di utilizzare alcune navi della Marina e compiere poi un blitz nel carcere. Una mossa che avrebbe scatenato la furiosa reazione della minoranza curda, trascinando la Turchia in un caos ancora più profondo.

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