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Ucraina: tiene il cessate il fuoco, Ue adotta ma congela sanzioni

(Keystone-ATS) Uno scambio di prigionieri consolida le prospettive del cessate il fuoco in Ucraina, nonostante gli avvertimenti e le recriminazioni incrociate. E l’Ue – sullo sfondo dei dubbi di alcuni Paesi – adotta formalmente ma congela “per alcuni giorni” l’attuazione del nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia, di fronte al quale Mosca aveva già minacciato di essere pronta a rispondere con una chiusura del suo immenso spazio aereo ai voli civili europei.

Sul terreno, del resto, qualche segnale di distensione prende corpo. A partire dal rilascio di 1200 militari ucraini dopo l’accordo sul cessate il fuoco concordato il 5 settembre scorso tra Kiev e i ribelli filorussi nell’est del Paese: a dare l’annuncio, auspicando che entro fine settimana ne siano rilasciati altri 863, è stato lo stesso presidente ucraino Petro Poroshenko, volato oggi a Mariupol per arringare i 500 mila abitanti di questa strategica città portuale sul Mare d’Azov contro gli attacchi isolati che qui, come all’aeroporto e in alcuni quartieri di Donetsk, minano una fragile tregua.

I numeri dei prigionieri sono controversi (i leader dei separatisti ammettono solo un primo scambio di una trentina di persone e parlano di una lista di circa 700 militari per parte) ma in ogni caso si tratta di un nuovo passo avanti dell’intesa. La strada, peraltro, resta in salita: per le incognite legate alle sanzioni europee e alle possibili contro misure russe (oggi il premier Medvedev ha evocato il blocco dello spazio aereo russo), per le tensioni tra Mosca e Nato-Usa, alimentate dall’avvio oggi di manovre navali congiunte di Kiev con gli americani nel Mar Nero.

E per l’incertezza sul futuro status del Donbass, di cui i ribelli rivendicano “l’indipendenza”. Eppure qualcosa sembra continuare a muoversi sul piano politico-diplomatico. Lo suggerisce anche la nuova telefonata fra Poroshenko e Vladimir Putin in cui è stato ribadito che “il dialogo prosegue”. Telefonata preceduta da una visita a Poroshenko, ieri a Kiev, del consigliere presidenziale russo Vladislav Surkov, influente eminenza grigia del Cremlino che dietro le quinte starebbe negoziando la crisi dell’est ucraino dopo aver preparato la strada all’annessione della Crimea.

Da Mariupol, Poroshenko ha in ogni modo mostrato i muscoli, denunciando che subito dopo l’annuncio della sua visita si è cominciato a sparare contro i posti di controllo locali in mano alle forze di Kiev. “Volevano spaventarmi, ma nessuno ne ha paura”, ha scritto su twitter, aggiungendo che “questa è la nostra terra, non la daremo a nessuno”. “Dobbiamo essere pronti ad una perfida violazione del cessate il fuoco, sappiamo dei loro piani per circondare Mariupol usando i carri armati da sud di Donetsk e da Novoazovsk”, ha dichiarato ancora, garantendo di avere “tutte le forze necessarie per difendere” la città.

Ma il presidente ucraino ha anche ammesso che “è impossibile uscire vittoriosi dal conflitto con i soli mezzi militari”. Per ottenere la pace, ha insistito, sarebbe necessario un “ritiro delle truppe straniere e la chiusura della frontiera: in una settimana troveremmo un compromesso”. In realtà i contendenti, pur facendo tacere sostanzialmente le armi, sembrano aver congelato le loro posizioni sul fronte, in attesa della piena attuazione dell’accordo di Minsk.

Tra i punti ancora da realizzare, il dispiegamento degli osservatori Osce, la creazione di una zona di sicurezza alla frontiera russo-ucraina e il decentramento dei poteri in base a uno “status speciale”. Status che tuttavia per i ribelli equivale ad indipendenza, come ha ricordato uno dei loro leader, Andrei Purghin. Mentre Poroshenko ribadisce che non è in discussione l’integrità territoriale del Paese. In effetti anche i media russi dubitano dell’intesa: Vedomosti la definisce un “capolavoro diplomatico che accontenta tutte le parti in conflitto nella misura in cui non si impone alcun obbligo a nessuno”, mentre Novie Izvestia si interroga sull’attuazione di un accordo “senza la firma del presidente russo e ucraino”.

“Né pace né guerra”, commenta ancora Vedomosti, rievocando l’ambiguo slogan di Trotzki contro i negoziati di Brest-Litovsk durante la Prima guerra mondiale, sulla base della scommessa di un contagio rivoluzionario in Germania. Allora lui si sbagliò, ma sia Putin sia Poroshenko hanno bisogno di prendere tempo.

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