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UE: vertice, accolta deroga per Praga

Questo contenuto è stato pubblicato il 29 ottobre 2009 - 21:16
(Keystone-ATS)

BRUXELLES - Uniti nel chiedere impegni obbligatori di riduzione dei gas ad effetto serra, a sole tre settimane dalla conferenza Onu di Copenaghen sul clima, i 27 Paesi della Ue stentano a trovare un accordo sui fondi necessari per aiutare i Paesi più poveri a combattere il cambiamento climatico e a mitigarne le conseguenze.
Quanto deve pagare ciascun Paese e sulla base di quali criteri mettere mano al portafoglio, sono i punti controversi.
Nonostante un appello del premier svedese Fredrik Reinfdelt, il cui Paese detiene la presidenza di turno della Ue, a fare uno sforzo per potere definire "una cifra totale, della quale c'é bisogno per stimolare gli altri Paesi sviluppati a fare a Copenaghen la loro parte", è improbabile che il vertice europeo si chiuda domani con un accordo sulle cifre e sui criteri di ripartizione degli oneri.
L'ipotesi di un consiglio straordinario (il 12 o il 19 novembre) è data ormai per scontata. "Abbiamo ancora del tempo, prima dell'apertura (il 7 dicembre), di Copenaghen", ha detto la ministra svedese agli affari europei Cecilia Malmstrom. Lo stesso Reinfdelt ha riconosciuto che i 27 "non sono ancora pronti".
L'opposizione più dura arriva, ancora una volta, dal blocco dei nove Paesi dell'Europa dell'est. "Se la proposta resta quella attualmente sul tavolo, sarà difficile trovare un accordo", ha detto Mikolaj Dowgielewicz, ministro polacco degli affari europei. "La proposta di ripartizione degli oneri, attualmente sul tavolo, non è accettabile", ha rincarato la dose il premier ungherese Gordon Bajnai.
I nove Paesi chiedono che il contributo nazionale venga deciso sulla base del solo prodotto interno lordo senza considerare la responsabilità nell'inquinare. Polonia, Ungheria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Bulgaria, Repubblica ceca e Slovacchia chiedono anche di mantenere il surplus maturato nel corso degli anni sui diritti delle emissioni di C02 (Aau) e di prevedere meccanismi volontari per l'aiuto ai Paesi più poveri del mondo.
La proposta presentata dalla Commissione europea è basata su una forchetta molto ampia. Il documento stima in 100 miliardi di euro l'anno, dal 2020, l'onere finanziario per i Paesi più ricchi e calcola il contributo della Ue (che rappresenta l'11% delle emissioni globali di C02 e il 32,5% del Pil) tra i 2 e i 15 miliardi euro l'anno tra il 2013 e il 2020.
Bruxelles giudicherebbe un successo un'intesa a quota 15 miliardi di euro l'anno, la cifra più alta della forchetta indicata. Ma tra i Paesi più grandi e ricchi la Commissione di Barroso può contare veramente solo sulla Gran Bretagna di Gordon Brown, per la quale il contributo Ue non dovrebbe essere inferiore agli 8-10 miliardi di euro l'anno. La Germania e la Francia sono riluttanti a mettere ora nero su bianco cifre, prima di conoscere l'impegno degli altri partner internazionali. "Bisogna che gli Usa e la Cina ci dicano cosa sono pronti a fare", ha spiegato la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma per il premier danese Lars Lokke Rasmussen, il cui Paese sta organizzando la conferenza Onu, "é venuto il momento di lasciare da parte i tatticismi e mettere i soldi sul tavolo".

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