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Usa: clinica indaga su bimbi con tre genitori

(Keystone-ATS) Una bambina: tre genitori. Alana Saarinen di West Bloomfield in Michigan è nata 13 anni fa usando una controversa tecnica di procreazione che usa il materiale genetico di tre genitori. Oggi una clinica per la fertilità negli Stati Uniti ha avviato un’indagine sui 17 teenager che, come Alana, sono nati grazie alla tecnica dei ‘tre embrionì, metodo che gli Stati Uniti nel 2002 hanno messo al bando.

Il quotidiano britannico the Independent ha appreso dell’indagine avviata dal Saint Barnabas Medical Centre del New Jersey. L’interesse del quotidiano londinese nasce dal fatto che il parlamento britannico ha in discussione una proposta di legge per introdurre una tecnica di fertilizzazione in vitro simile a quella sospesa dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti.

Obiettivo dello studio avviato qualche mese fa dalla clinica americana dove all’epoca lavorava Jacques Cohen, lo scienziato pioniere della tecnica dei “tre embrioni”, è di capire se gli adolescenti abbiano problemi di salute a lungo termine derivati dalla procedura che sfrutta il trasferimento di citoplasma.

Il primo bambino britannico concepito con al tecnica dei “tre embrioni” potrebbe nascere il prossimo anno se la proposta di legge che legalizza il transfer citoplasmatico andrà in porto e Westminster ha un forte interesse a capire se quali sono le sue prospettive di vita.

Negli Usa la prima bimba nata con il controverso metodo fu Emma Ott di Pittsburgh nel maggio 1997: oggi è una teen-ager normale che frequenta il liceo a pieni voti, e con Alana l’unica il cui nome sia stato reso pubblico tra i bambini “con tre genitori”.

La tecnica sospesa negli Usa prevede la fusione egli ovuli di due donne in modo che i risultanti embrioni possano ereditare materiale genetico da tre individui. Sono circa 30 in tutto il mondo i bambini nati con questo metodo, tra cui i 17 casi seguiti dal Saint Barnabas Medical Centre. Alana è venuta alla luce dopo che sua madre aveva fallito per quattro volte la fertilizzazione in vitro: “Se c’erano rischi non mi importava. Volevo troppo un figlio in quel momento”, ha spiegato Sharon Saarinen all’Independent. “Allora per me fu la cosa giusta”.

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